Perché le «sanzioni tremende» di Trump alla Russia non sono solo una sceneggiata
La furia di Dmitrij Medvedev, che parla di «atto di guerra contro la Russia», e il calcolato distacco di Vladimir Putin, che al termine di una giornata trascorsa a parlare di demografia e di politiche per le famiglie ha commentato le nuove sanzioni americane contro l’industria petrolifera russa: un «atto ostile che non rafforza le relazioni tra Russia e Stati Uniti», ma che non influirà in modo determinante sull’economia russa: che subirà delle perdite, ma che nel suo comparto energetico ha basi solide. «Il contributo della Russia agli equilibri energetici globali è cruciale – ha detto Putin -. Ci vorrà tempo per sostituire il petrolio russo». Prima di lui, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova aveva affermato che l’impatto delle restrizioni non sarà quello sperato in Europa e a Washington, dal momento che la Russia ormai ha sviluppato anticorpi che la rendono «immune».
Ed è questo il cuore del problema: quantificare la portata delle novità annunciate da Donald Trump e dal suo segretario al Tesoro, Scott Bessent, per immaginare se l’effetto congiunto di queste e delle ultime sanzioni decise in Europa possano incidere sulla macchina da guerra di Putin in modo da spingerlo al negoziato. «Ho avuto la sensazione che non saremmo arrivati al punto in cui dobbiamo arrivare, quindi l’ho cancellato», ha spiegato Trump mercoledì sera riferendosi al previsto summit con Putin a Budapest. È dunque venuto il momento giusto, ha detto ancora il presidente americano, «di colpire la Russia con sanzioni tremende». Le prime del secondo mandato Trump, dopo tante minacce rimaste tali.
E in effetti, sulla carta, l’ordine esecutivo n. 14024 del Tesoro americano contro le due principali compagnie petrolifere russe e 34 loro sussidiarie è meno duro di quanto sembri. Dopo aver decretato il blocco di ogni bene o attività risalente a Rosneft e Lukoil sul territorio degli Stati Uniti, e di ogni transazione collegata a quei beni negli Usa o per mano di cittadini americani (salvo esenzioni), il documento avverte che a partire dal prossimo 21 novembre le istituzioni finanziarie straniere che conducano o facilitino transazioni significative con le compagnie designate o che forniscano qualunque servizio che coinvolga il sistema militar-industriale russo corrono il rischio di essere sanzionate dal Tesoro.
Per i grandi acquirenti di petrolio russo – a partire da India, Cina, Turchia – la possibilità di incorrere in sanzioni secondarie che le escludano dai mercati finanziari americani è, dunque, solo una minaccia, che scatterà peraltro tra un mese.
Tenendo conto dell’imprevedibilità delle decisioni di Trump, che hanno un mese a disposizione per mutare più volte, Phillips O’Brien, professore di Studi Strategici alla University of St Andrews, fa notare che da qui al 21 novembre Lukoil, Rosneft e i loro partner avranno il tempo di correre ai ripari: accelerando gli acquisti, dirottando gli scambi su società fittizie, impostando transazioni che escludano l’uso del dollaro. Allo stesso tempo, i legami diretti tra le compagnie sanzionate e gli Stati Uniti si sono ridotti ormai a poca cosa: Rosneft – la prima compagnia statale russa, consolidatasi sulle ceneri della Yukos di Mikhail Khodorkovskij, è nella lista nera del Tesoro già dal 2020 mentre Lukoil – prima compagnia russa privata – controllerebbe tuttora attraverso la propria sussidiaria per il Nord America circa 200 stazioni di rifornimento concentrate tra New York, New Jersey e Pennsylvania.
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