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Perché il nuovo ddl sulla disforia di genere è una condanna a morte per tanti giovani

Dopo tanti mesi di attesa, lunedì 4 agosto è arrivata la risposta del Ministero della Salute sui trattamenti per i percorsi di affermazione di genere delle persone più giovani. Lo sapevamo tutti e tutte che questo momento sarebbe arrivato, ma sappiamo anche bene che spesso l’approccio generale è quello di aspettare gli eventi. Crolla un ponte e poi si dice che già si sapeva, succede l’ennesimo incidente e si dice che sì quella curva va sistemata, scende l’ennesima frana sulle case delle persone e sì, l’invaso di contenimento era pieno e andava svuotato. La maggior parte delle persone sono prese da duemila cose e finché una cosa non si fa urgente si aspetta. E così lunedì sera è arrivata la batosta di un ddl che si sapeva che non avrebbe potuto essere differente, ma contro il quale si è fatto effettivamente poco.

Adesso non c’è più tempo per aspettare che qualcosa si risolva da sé, perché quello che scrive questa proposta di legge è una condanna a morte per tantissime giovani persone. Da madre di una giovane ragazza transgender non so che cosa sarebbe successo a mia figlia se non avesse potuto avere accesso ai trattamenti per il suo percorso di vita al momento giusto. Sicuramente non sarebbe la ragazza felice e serena che è oggi.

Questa proposta di legge stabilisce un iter da seguire per poter aver accesso ai trattamenti. Iter che prevede una diagnosi fatta attraverso percorsi psicologici e psichiatrici, che escludano “altre” patologie e comorbidità. Come sempre ci si dimentica che essere una persona che non si riconosce nel genere assegnato alla nascita è semplicemente una delle tante maniere di essere; ci si dimentica che non è una malattia, che non è qualcosa che va curato. Questo ddl non solo prevede la diagnosi – fregandosene delle direttive internazionali – ma impone che, una volta fatto tutto il percorso diagnostico, la decisione finale spetti al comitato etico nazionale. Oltre alla gravissima negazione all’autodeterminazione, avete idea dei tempi di attesa per la persona interessata?

In poche parole possiamo dire che questa legge, se dovesse passare, di fatto negherebbe l’accesso ai trattamenti per le giovani persone transgender senza però assumersene la responsabilità. È vero infatti che la prescrivibilità dei farmaci è regolamentata dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) e quindi nemmeno un ministero potrebbe proibire l’uso di un medicinale. Ma di fatto con tutti questi ostacoli è quello che alla fine succederà: non sarà proibito ma non verrà prescritto. Si conosce molto bene l’importanza della tempistica nei percorsi di affermazione di genere. Quando la pubertà arriva e il corpo inizia a cambiare non si può aspettare, bisogna garantire il benessere della persona che proprio in quel momento inizia a essere a rischio.

E il Ministero delle Salute nella figura di Schillaci (specializzato in medicina nucleare) e il Dipartimento per le politiche della famiglia nella figura di Roccella (laureata in lettere moderne) decidono che invece è proprio nel momento più difficile che i nostri figli e le nostre figlie dovranno iniziare il loro calvario. Tutto questo infischiandosene degli studi scientifici decennali, delle raccomandazioni internazionali, dell’evidenza di persone felici e sane che hanno intrapreso il percorso nel rispetto del loro essere.

Questa volta però le famiglie vogliono delle prese di posizione chiare e già per questo giovedì hanno organizzato un primo incontro online dove si confronteranno su paure, esigenze e butteranno giù una serie di domande da rivolgere a tutte le persone responsabili dei centri di affermazione di genere. Possibile infatti che non si espongano mai? Possibile che subiscano sempre in silenzio qualsiasi cosa venga fatta? Possibile che sacrifichino sempre le persone più giovani che hanno diritto di essere loro stesse? Io credo che in nessun altro reparto medico si accetterebbero condizioni del genere. Se venisse di fatto eliminato un farmaco salvavita con studi decennali alle spalle, medici e mediche insorgerebbero perché si sentirebbero responsabili della vita delle persone che seguono. Ma se si tratta di affermazione di genere non una parola, perché comunque resta la convinzione che sia una scelta, che tutto sommato se ne possa fare a meno, che non sia una questione di vita o di morte. Quindi si preferisce non avere scocciature.

Ma questa volta le scocciature arriveranno da parte di tutte le famiglie che hanno diritto a spiegazioni e alternative. Perché comunque il dovere di chi lavora in medicina è quello di garantire la salute e il benessere prima di tutto.


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