Perché è necessario creare un debito comune europeo
Per acquisire autonomia strategica sul piano internazionale e riprodurre il proprio modello sociale, l’Unione europea (Ue) deve affrontare sfide radicali: la realizzazione di ingenti investimenti innovativi compatibili con la transizione verde, il rafforzamento dell’industria della difesa così da costruire protezioni comuni, la riqualificazione delle risorse umane inclusa l’integrazione attiva dei migranti mediante rinnovati processi di educazione e inclusione sociale. Queste molteplici sfide vanno finanziate con ingenti risorse pubbliche e private da reperire a livello europeo. Non è quindi casuale che i responsabili di rilevanti istituzioni (basti ricordare Fabio Panetta e Isabel Schnabel) e studiosi con ricche esperienze istituzionali (Olivier Blanchard e Angel Ubide) abbiano rilanciato la necessità di emettere quei titoli europei di debito già invocati da Draghi e da altri.
Insieme a Marco Buti, ho insistito da tempo sulla crucialità di tali emissioni per alimentare una Capacità fiscale centrale (Cfc) permanente in grado di finanziare la produzione di Beni pubblici europei (Bpe) e di contrastare le frammentazioni del mercato finanziario europeo anche grazie alla creazione di un safe asset comune. Ciò faciliterebbe la mobilizzazione della ricchezza finanziaria delle famiglie per il sostegno privato degli investimenti. Lorenzo Bini Smaghi ha però sottolineato sul «Foglio» che i finanziamenti pubblici di Bpe non bastano per creare un safe asset europeo e unificare i mercati finanziari nel breve-medio termine. Lo stock già esistente di titoli europei di debito (inferiore al trilione di euro) e i loro nuovi flussi, sollecitati da Draghi per una scala annua di circa 250 miliardi di euro, richiederebbero infatti decenni per tradursi in stock di ammontare comparabile a quello del safe asset internazionale (i titoli del Tesoro statunitense pari a circa 29 trilioni di dollari) o per superare l’attuale imperfetto sostituto del safe asset europeo (i titoli pubblici tedeschi pari a circa 2,7 trilioni di euro).
Tali evidenze non devono alimentare il pessimismo rispetto alle potenzialità europee. Come ricorda Bini Smaghi sulla scia di Blanchard-Ubide, si tratta piuttosto di tornare a vecchie ipotesi di sostituzione degli stock di titoli pubblici degli Stati membri dell’area euro (Ea) con titoli europei di debito (si veda un mio scritto del 2011, apparso su Ceps). Con qualche aggiustamento, la realizzazione di quelle ipotesi consentirebbe infatti di creare un competitivo safe asset europeo, di rafforzare i mercati finanziari dell’area e di assicurare adeguati finanziamenti pubblici europei rispetto alle sfide aperte.
Oggi lo stock di titoli pubblici, che fa capo all’insieme degli Stati membri dell’Ea, si attesta intorno ai 13,5 miliardi di euro ed è pari a circa lo 88% del Pil dell’area. Se un’istituzione come il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) collocasse nel medio periodo sul mercato titoli di debito per un ammontare corrispondente a quello stock o a una sua quota significativa (per esempio, il 60% del Pil dell’area oppure la quota non detenuta dalla Bce), esso si doterebbe delle risorse finanziarie per assorbire – in tutto o in parte – i titoli nazionali di debito. Il bilancio del Mes rimarrebbe in equilibrio perché, a fronte del debito totale verso gli investitori di mercato, maturerebbe un credito equivalente nei confronti dei singoli Stati membri; pertanto, almeno in prima battuta, non vi sarebbe condivisione degli oneri legati ai debiti nazionali. Inoltre, l’indebitamento del Mes raggiungerebbe rapidamente una massa critica che, se garantita, sarebbe adeguata a configurare i suoi titoli come un safe asset internazionale; i relativi tassi di interesse sarebbero, perciò, inferiori a quelli sopportati da singoli paesi dell’Ea. Infine, il Mes potrebbe utilizzare la sua attuale capacità di finanziamento (circa 500 miliardi di euro) e i differenziali positivi fra gli interessi maturati sul suo credito e quelli corrisposti sul suo debito, per assicurare (anche grazie a una leva finanziaria) il sostegno pubblico dei Bpe e di altri investimenti europei.
Questi passaggi sembrano in grado di soddisfare i due fondamentali obiettivi richiesti: creazione di un safe asset centrale che attenui la frammentazione dei mercati finanziari; finanziamenti pubblici e privati necessari per fare sì che la Ue vinca le sfide aperte. Per inciso, la configurazione delineata agevolerebbe la gestione del bilancio pubblico dei singoli Paesi dell’Ea, in quanto il rispetto delle regole fiscali europee verrebbe (in tutto o in larga parte) sottratto alla volatile pressione dei mercati per essere regolato dai rapporti fra governi nazionali e istituzioni centrali (incluso il Mes). Il maggior ostacolo, che si frappone alla proposta, dipende però proprio dal fatto che la pressione degli investitori finanziari si sposterebbe dai debiti nazionali ai debiti del Mes. Quali garanzie potrebbero assicurare un agevole collocamento sul mercato della massiccia emissione di titoli da parte del Mes, per di più con tassi di rendimento propri a un safe asset?
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