Salute

per questo secondo qualcuno dev’essere punito

di Roberto Del Balzo

Ogni tanto il Paese si sveglia in cerca di un colpevole fresco. Questa volta tocca a un ragazzo di poche parole, Jannik Sinner, che gioca a tennis e per motivi tutti sportivi non può rappresentarci in Coppa Davis: i motivi sono chiari a anche a chi un campo da tennis non l’ha mai visto. Non lo dice, ma lo fa capire: preferisce scegliere lui come, dove e quando. In Italia, questa è già un’eresia.

Da un certo giornale molto serio, quello che si crede ancora l’organo morale della nazione, arrivano articoli pieni di sentimento e di patriottismo da bar. Il tono è quello solenne dei padri che rimproverano i figli: dove sono finiti i valori, il sacrificio, l’amor di patria? Di solito queste parole si scrivono tra un aperitivo e una comparsata in tv poco prima di essersi fatti tamponare il viso e la testa pelata con il cerone. La patria, in fondo, è un argomento che rende ancora bene.

I nostri editorialisti, che da anni spiegano tutto – i sentimenti, la politica e il dolore – si sono accorti che un ragazzo italiano vive a Montecarlo. Non evade le tasse, non predica, non chiede sussidi. Ma vive lì. Quindi deve essere punito, almeno con qualche riga indignata. È la forma di giustizia che resta a chi non indaga mai sui veri peccatori (in Italia abbiamo un’evasione fiscale stimata tra gli 80 e 100 miliardi e qualcuno ha mai visto inchieste giornalistiche forti, quotidiane, che mettano il governo con le spalle a muro?).

L’idea di patria di questi giornalisti è curiosa: non consiste nel difendere la giustizia o la libertà, ma nel chiedere a tutti di condividere la stessa infelicità. È la sindrome dell’impiegato morale: se non puoi essere libero, almeno assicurati che nessuno lo sia più di te. Nel frattempo, Sinner gioca. Vince. Non parla. Non scrive editoriali. Sembra quasi felice. E questo, per il Paese dei commentatori, è un problema più grave dell’evasione fiscale, della sanità, del giornalismo che fa tremare i polsi ai potenti.

In Italia si può perdonare chiunque: il furbo, il corrotto, il bugiardo. Ma non l’uomo libero. Forse perché ci ricorda quello che avremmo potuto essere, se non avessimo avuto tanta paura di deludere il giornale di riferimento.

C’è poi un aspetto più intimo da ribadire, che nessun editoriale ammette: la libertà è odiata non perché è ingiusta, ma perché è inaccessibile. Chi la esercita mette a disagio chi scrive di libertà da decenni senza averla mai provata davvero. È la rivincita del gesto semplice — il silenzio, la scelta, l’indifferenza — contro la verbosità di chi si sente ancora custode della morale nazionale. Ricordiamo che Sinner aveva detto di non leggere i giornali. Un’affermazione banale, ma per certi giornalisti è un insulto: toglie loro il potere, li rende invisibili. E l’invisibilità, per chi vive di parola, è più temibile del giudizio.

Molti di loro, anziani ma instancabili, si ostinano a spiegare il mondo da dietro la scrivania, come se scrivere bastasse a possederlo. Gli stessi che invitano i comici a ritirarsi non si chiedono mai se dovrebbero farlo loro. Forse non per stanchezza, ma per lucidità. Per capire che non c’è nulla di eroico nel non smettere, se ciò che resta è un mestiere che ha perso il contatto con la realtà e si nutre solo delle proprie elucubrazioni.

La libertà di tacere, oggi, è diventata la forma più alta di intelligenza. Ma per riconoscerla, bisognerebbe prima saper ascoltare il silenzio o rimanere in silenzio, che sarebbe ancora meglio.

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