Per De Laurentiis ora vincere conta: così ha rinnegato se stesso per tenere Conte a Napoli
Se c’è qualcosa che non manca ad Aurelio De Laurentiis nella sua versione presidenziale è sicuramente il coraggio. Coraggio non inteso come rischio: quello no, non è parte (o almeno fino ad ora non lo è stato) del bagaglio del massimo dirigente azzurro, sempre attento ai bilanci e fautore di una politica diametralmente opposta a quella dei colpi a effetto, del modello arabo attuale o di quello berlusconiano e morattiano degli anni ’80 e ’90. No, il coraggio di De Laurentiis è da ricercare altrove: nella capacità di andare contro modelli prestabiliti e apparentemente intoccabili e incrollabili, ad esempio, ponendosi come innovatore in un mondo — come quello del calcio italiano — che tanto disposto a innovarsi non è.
È stato coraggioso, poi, ADL nello strutturare il suo Napoli come una squadra più europea che italiana: con Benitez prima e Sarri poi, puntando su un 4-3-3 e un gioco brillante, piacevole, che ha estasiato tifosi e non solo, pur non portando vittorie. Un’idea calcistica non abiurata negli anni successivi, nonostante alcuni incidenti di percorso come i periodi non brillantissimi con Ancelotti e Gattuso, e che ha poi condotto allo storico terzo Scudetto con Spalletti nel 2023. Un modello di gioco diverso dal simil tiki-taka sarriano e più vicino all’intensità del gegenpressing di Klopp, ma che comunque si basava su meccanismi oliati e automatismi perfetti che, al secondo anno, non solo hanno regalato lo Scudetto, ma anche un’indiscutibile gradevolezza estetica. Si pensi, ad esempio, alle vittorie per 4-0 contro il Liverpool o per 6-1 contro l’Ajax in Champions League, o al 5-1 alla Juventus in Serie A.
Poi l’annus horribilis con Garcia, Mazzarri e Calzona, ed ecco che De Laurentiis ha il coraggio di andare completamente contro se stesso e il suo dogma. Già, perché anche nella ricerca dell’erede di Spalletti, De Laurentiis, tracciando l’identikit, aveva parlato di un allenatore “in grado di portare avanti il nostro 4-3-3 spettacolare”: di spettacolare, in quel che è venuto nei mesi successivi, non c’è stato proprio nulla. E allora il massimo dirigente azzurro ha scelto di abdicare dal bel gioco e dalla spettacolarità, e di puntare sul concreto, scegliendo uno dei massimi capostipiti dell’utilitarismo calcistico: quell’Antonio Conte che, presentandosi, ha subito chiarito dove avrebbe messo le mani, ovvero sui 48 gol subiti nell’anno precedente. Con difesa, fatica e concretezza, Antonio Conte ci ha vinto uno Scudetto: per quanto qualcuno abbia storto il naso, il gradimento di Napoli per il tecnico salentino oggi è a livelli plebiscitari.
Aveva ventilato l’addio, Conte, osannato dal pubblico che gli chiedeva di restare non solo per i risultati ottenuti, ma anche per impedire il ritorno nella Torino bianconera. A favorire la retromarcia del tecnico, però, è stato proprio De Laurentiis, andando completamente contro la filosofia calcistica consolidata in vent’anni: gli ha garantito pieni poteri (cosa mai concessa prima, neppure ad uno come Ancelotti), una campagna acquisti sontuosa e profili come Kevin De Bruyne, fuoriclasse assoluto ma ormai 34enne e con un ingaggio pesante, molto pesante. Un pedigree che finora ha rappresentato la kryptonite per ADL, sempre alla ricerca di campioni in potenza, giovani e in grado di garantire probabili ghiotte plusvalenze.
E in caso di addio di Conte? De Laurentiis aveva bloccato Max Allegri, l’esatta antitesi del sarrismo dei bei tempi, il teologo del “corto muso” e di un modello di fatto opposto a quello immaginato dal patron azzurro: concretezza anziché spettacolarità, risultato anziché prestazione. Una mossa che fece la Juventus dopo l’addio del salentino, sebbene all’epoca Allegri — reduce dall’esperienza al Milan — non avesse ancora la bacheca così piena come ora, con i dodici trofei vinti con i bianconeri (oltre a due finali di Champions).
E a cascata, la conferma di Conte (ed evidentemente anche la sua vittoria) ha portato ugualmente effetti nel calcio italico: Allegri non si è accasato al Napoli ma è tornato al Milan, col telefono di Max che, dopo l’anno di stop post-Juve, si è rifatto rovente. Segno che, probabilmente, la concretezza è tornata di moda. Tornata di moda in casa Milan e (forse) Juve, mentre rappresenta una novità per ADL, laddove di certo influisce anche la volontà di non ripetere gli errori dell’estate 2023, quando la campagna acquisti post-Scudetto fu completamente toppata e si scelse, per il dopo-Spalletti, un profilo come Rudi Garcia, forse unicamente in quanto aziendalista.
Oggi De Laurentiis ha il coraggio di smentire completamente se stesso, virando dall’aziendalista all’uomo-azienda, con l’unico faro del trionfo. Prima considerata una mera eventualità, ampiamente sacrificabile sull’altare dei bilanci in ordine e della bellezza, oggi la vittoria affascina non poco il patron azzurro. Forse non così tanto da affermare che sia “l’unica cosa che conta”, almeno per adesso.
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