Pensioni, conti Inps a rischio se si blocca l’aumento dell’età
Pensioni, prevista una maggiore spesa per un miliardo; Conti Inps a rischio se si blocca l’aumento dell’età
Ritornano gli esodati? E’ ancora presente il ricordo della grande telenovela partorita dai talk show per criticare la riforma Fornero nel momento del suo avvio, ingigantendo un problema reale che non aveva bisogno di ben nove sanatorie (costate 13 miliardi) per essere risolto, permettendo a duecento mila soggetti di andare in pensione con i requisiti previgenti la riforma del 2011. Poiché l’imbroglio è riuscito una volta, i soliti noti ci riprovano.
Facciamo il punto. Nel decreto di miracoli (n. 4 del 2019) il governo giallo-verde, oltre ad inserire un percorso abbreviato (quota 100) per accedere al pensionamento anticipato, ne aveva combinata una ancora più grossa anche meno visibile: il blocco a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e ad un anno in meno per le donne del meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti del pensionamento all’incremento dell’attesa di vita fino a tutto il 2026.
Era questa la norma virtuosa ai fini della sostenibilità del sistema, tanto che il rinsavito governo Meloni ne ha anticipato la cessazione alla fine del 2024: così da quest’anno la norma è ridiventata operativa, ma senza effetti pratici perché l’Istat non ha riscontrato per il 2025 e 2026 significativi incrementi dell’attesa di vita consentendo così l’invarianza dei requisiti, che, invece, a partire dal 2027 dovrebbero aumentare di tre mesi (è questo comunque il limite massimo consentito).
La Cgil nei mesi scorsi aveva denunciato che – attraverso la riattivazione del meccanismo – vi sarebbe stato un incremento dell’età pensionabile e che pertanto sarebbe stata necessaria una revisione, prioritariamente con riguardo ai possibili nuovi esodati ovvero a quelle persone che avendo negoziato col proprio datore di lavoro un esodo anticipato a fronte di una extra liquidazione parametrata sui requisiti necessari a varcare l’agognata soglia della quiescenza, verrebbero a trovarsi per un certo periodo senza reddito e senza pensione, nel caso di spostamento in avanti dei requisiti a partire dal 2027.
In sostanza, 44mila esodati e segnatamente (il conto è dettagliato): 19.200 lavoratori in isopensione e 4.000 con contratto di espansione si ritroverebbero con un vuoto di tre mesi senza assegno, senza contributi, senza pensione. A questi si aggiungerebbero altri 21.000 lavoratori usciti con i Fondi di solidarietà bilaterali, per i quali, seppur con impatti diversi, si configurerebbe comunque un possibile vuoto di copertura previdenziale. A fronte di questi numeri limitati (forse sono ancora di meno) sarebbe possibile trovare soluzioni ragionevoli, esonerando questi casi dal modesto innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi. In questo caso il sistema se la caverebbe con qualche centinaio di milioni. Si creerebbe invece un bel problema se il meccanismo dell’adeguamento venisse manipolato o addirittura abolito.
Si aprirebbe una via crucis, secondo le stime dell’Inps, di qualche miliardo e soprattutto verrebbe a mancare una pur tenue prospettiva di sostenibilità. Pare che anche il governo sia tentato da quest’ultima operazione. E’ la solita logica di tutelare le generazioni che andranno in quiescenza nei prossimi anni, a scapito delle giovani generazioni. Va poi ricordato che l’effetto dell’incremento automatico dei requisiti opererà in modo particolare per i trattamenti liquidati col sistema misto, in via di esaurimento nell’arco di alcuni anni. Quando si applicherà in generale il calcolo contributivo, diventeranno operative altre logiche: il calcolo della pensione sarà determinato dal montante contributivo e dai coefficienti di trasformazione ragguagliati all’età anagrafica al momento della data di decorrenza effettiva della quiescenza. Quindi il lavorare più a lungo diventerà la principale condizione per l’adeguatezza del trattamento. E i trend demografici lo consentiranno.
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