Basilicata

Pedagogia Antimafia: mafie silenti, delocalizzate e sempre più tecnologiche

Prosegue al liceo Pitagora di Crotone il ciclo di Pedagogia Antimafia di UniCal. Giornalisti a confronto su mafie silenti e delocalizzate


CROTONE – «Le inchieste anti ’ndrangheta degli ultimi anni hanno cristallizzato l’immagine di un soggetto criminale moderno che si avvale sempre più spesso di referenti istituzionali, al punto da fagocitare pezzi interi di classe dirigente. Un fenomeno che non riguarda solo il ceto politico meridionale ma anche quello del Nord. Sono molto spesso pubblici amministratori i facilitatori per ottenere appalti o importanti commesse in cambio di pacchetti di voti di cui i clan dispongono». Lo ha detto il giornalista del Quotidiano Antonio Anastasi relazionando sul “capitale sociale della ‘ndrangheta” nell’ambito del ciclo di seminari “La scuola della Costituzione”, organizzato dal corso universitario di Pedagogia dell’Antimafia dell’Unical e dal liceo classico Pitagora di Crotone. «Da un lato – ha detto il giornalista – una ‘ndrangheta sempre più sofisticata, che si avvale di facilitatori scovati nel mondo politico-istituzionale, tra i funzionari pubblici e i professionisti, e dall’altro sempre più delocalizzata, capace cioè di proiettarsi dai territori della Calabria, messi sotto scacco con metodi violenti, verso le aree più produttive del Paese. Dove c’è più polpa economica da succhiare e si spara meno perché ci si mette d’accordo per fare affari».

BORGHESIA MAFIOSA

Insomma, «In Calabria la borghesia mafiosa la fa da padrone, detta ormai la strategia delle cosche, stabilisce le modalità di infiltrazione nel tessuto economico, nella politica, nelle istituzioni – ha osservato Anastasi – Una vasta zona grigia sembra raccogliersi attorno ai boss e ai loro emissari per stringere accordi collusivi nell’ombra e ottenere facilitazioni di vario genere in cambio dei voti che i clan spostano». Anastasi ha fatto riferimento a una conversazione, intercettata nel corso di un’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, in cui si parla di un assessore che «non chiude mai la porta». «Ma se la porta la apri al clan – ha commentato – le conseguenze sono immaginabili, l’aria diventa irrespirabile e bisogna aprire le finestre per far entrare un po’ di trasparenza. Non è un caso – ha aggiunto – che sia calabrese il primato per lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose. Spesso sono enti con i conti dissestati. Il caos amministrativo favorisce la permeabilità ai condizionamenti delle ‘ndrine».


TRADING CLANDESTINO

Ma oggi il capitale sociale della ‘ndrangheta si è evoluto. Anastasi ha fatto riferimento a quel «sottobosco di piattaforme finanziarie gestite, su scala globale, da un numero esiguo di trader, alle quali si può accedere con considerevoli disponibilità economiche. Piattaforme clandestine che consentono di generare percentuali di guadagno fino all’80 per cento del valore investito. È là dentro che oggi finiscono gli investimenti finanziari della ‘ndrangheta, che può sfruttare enormi capitali derivanti da attività illecite con i quali viene così prodotta ulteriore ricchezza». Anastasi ha accennato al mondo delle false garanzie bancarie, messo a nudo dall’inchiesta Glicine-Acheronte. «Hacker tedeschi hanno lavorato a stretto contatto con i referenti del boss Domenico Megna, capo di una cosca stanziata nel quartiere periferico di Crotone». E non è un caso che nella sola provincia di Crotone, e soprattutto tra Crotone, Cutro e Isola Capo Rizzuto, «si registri un know-how elevato nel campo delle criptovalute. Qui sono state rilevate presenze altissime di Helium hotspot, in termini percentuali molto più elevate che a Roma, dove le esigenze di connettività sono ben altre. I sospetti sono sul “mining” della ‘ndrangheta per il grande utilizzo di energie in alcune aree ad alta densità mafiosa».


MAFIE AL NORD

Una finestra sulle mafie al Nord l’ha aperta anche Francesca Chilloni, giornalista del Resto del Carlino che si è occupata del maxi processo Aemilia, il più grosso, per numero di imputati, mai celebrato contro le mafie al Nord. «Le mafie le mafie al Nord sono una parte significativa dell’economia, anche di quella legale – ha detto – Il fenomeno mafioso è stato sottovalutato. Inizialmente, perché non conoscevamo la portata del fenomeno, poi anche per connivenza». Dopo Aemilia, le inchieste fioccano a più non posso. Il procuratore facente funzioni della Dda di Bologna ha definito, qualche giorno fa, Reggio Emilia come «la capitale nazionale delle cartiere e delle false fatturazioni che sono l’elemento costitutivo del capitale mafioso. Perchè certi metodi – ha aggiunto Chilloni – sono accettati da alcuni imprenditori. Il processo Aemilia fa cadere gli alibi, perché vengono coinvolti politici, giornalisti, colletti bianchi».


MAFIE PUGLIESI

Sulla mafia emergente, quella pugliese, si è soffermata la giornalista Chiara Spagnolo, della redazione barese di Repubblica. «Di mafie si parla poco e in Puglia se ne parla ancora meno. La Puglia ha un grande sviluppo turistico e sembra che parlare di criminalità organizzata sporchi il territorio – ha detto Spagnolo – E, invece, dove si muove il denaro ci sono i clan. Le mafie pugliesi, che vanno declinate al plurale, si sono inizialmente arricchite con traffico di sigarette e droga, anche perché le coste albanesi sono vicinissime. Oggi siamo di fronte a consorterie criminali sempre più pervasive». Al punto che «oggi non si può più dire loro e noi. Le mafie si avvalgono di facilitatori, spesso informatici. Quegli stessi informatici che tanto servirebbero, oggi, all’Antimafia. Perché le mafie stanno al passo con i tempi e si evolvono». Spagnolo ha fatto l’esempio di Vito Martiradonna, un mafioso tradizionale, che aveva capito che bisognava fare un altro tipo di investimento e che era necessario sfruttare le tecnologia. In una intercettazione dice che “Per arricchirsi non serve fare bam bam, ma cilc clic”. «Segno del cambiamento dei tempi». Altra caratteristica delle mafie in Puglia è l’esibizionismo, ha detto la giornalista facendo esempi sul campo, dai social alla musica trash.


GRAMMATICA DEL CAMBIAMENTO

Il docente UniCal Giancarlo Costabile, concludendo i lavori, ha detto che c’è bisogno di «Parole di testimonianza per una grammatica del cambiamento. Un vocabolario di rottura rispetto a un sistema contaminato dalle mafie». Il docente ha citato Papa Francesco che teorizza «un nuovo impegno dei cristiani e una Chiesa degli ultimi e dei territori».
Ha coordinato i lavori la professoressa Rossella Frandina, docente del liceo Pitagora, che, connettendo i vari interventi, ha sottolineato «l’importanza del giornalismo nella costruzione di una narrazione antimafia collettiva. Un giornalismo etico è una forza essenziale della società perché sollecita la costante attenzione alla legalità, contribuisce alla difesa della libertà e costruisce giustizia, soprattutto in una società in cui le mafie orientano voti e candidano i loro affiliati adombrandoli di rispettabilità ora che li ha fatti studiare».

L’ESEMPIO DI DON MILANI

La dirigente scolastica, Natascia Senatore, ha insistito sull’importanza di una scuola che «guardando all’esempio di don Milani dia centralità al valore etico della parola. Quello di Barbiana deve diventare un modello di inclusione in cui nessuno studente rimanga indietro, perché la scuola ha il dovere di preoccuparsi di tutti e di ciascuno».

Intervenuto anche il questore Renato Panvino che ha messo in evidenza come la lotta alle mafie necessiti di «un cambiamento culturale che deve partire da una scuola che diventi sempre più inclusiva. La sola forza repressiva non basta, ai ragazzi servono esempi concreti fatti di comportamenti retti e onesti».

LEGGI ANCHE: Pedagogia dell’antimafia, da Scampia a Crotone il cambiamento è possibile – Il Quotidiano del Sud


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