Patrimoniale e tasse al centro del voto: sfida aperta in Norvegia
OSLO – Davanti allo Storting, l’imponente e caratteristico edificio che ospita il Parlamento norvegese nel cuore di Oslo, gli attivisti si danno da fare per disporre striscioni e bandiere palestinesi. È in programma una manifestazione per chiedere al governo verità su Shada, una ragazza palestinese morta in circostanze poco chiare in Norvegia, ed è una sorta di rappresentazione visiva dell’irruzione della politica estera nel dibattito che precede le elezioni politiche dell’8 settembre. In una campagna elettorale peraltro dominata da temi interni, soprattutto economici.
Israele, Trump e il Fondo sovrano
A infiammare gli ultimi giorni è stato proprio il Medio Oriente con un protagonista inatteso e insospettabile: il Fondo sovrano norvegese, messo in discussione dopo che sono emersi investimenti in aziende israeliane in qualche modo coinvolte nella guerra a Gaza. Il fondo da 2mila miliardi di dollari, il più grande al mondo con in portafoglio l’1,5% delle azioni globali, ha disinvestito da una trentina di imprese israeliane, adducendo principi etici e non politici. Ma il tema è diventato inevitabilmente anche politico, con qualche partito che ne ha approfittato per attaccare il governo laburista in carica, giudicandolo troppo timido. E alcuni stretti alleati del presidente americano, Donald Trump, che sono andati, al contrario, su tutte le furie per l’uscita del Fondo da Caterpillar, anche in questo caso per l’utilizzo dei suoi bulldozer nel conflitto, e ora minacciano sanzioni alla Norvegia.
«I politici hanno delegato la responsabilità e creato il quadro istituzionale attorno al fondo – spiega Ulf Sverdrup, professore della Norwegian Business School BI e già alla guida di una commissione governativa incaricata di rivedere la strategia di investimento del fondo -. Sul piano etico esiste un doppio filtro, su cui vigila un comitato, che ci impedisce di investire in determinati prodotti (come tabacco o armi) e in imprese che, per esempio, sfruttino il lavoro minorile o violino i diritti umani. È un meccanismo che ha funzionato piuttosto bene, almeno fino alla guerra a Gaza. In realtà – aggiunge – il fondo non è davvero parte della campagna elettorale, perché i partiti più responsabili non vogliono che sia politicizzato. Se fosse percepito come attore politico, si troverebbe ad affrontare problemi nel lungo termine».
Politica estera ai margini
Se Gaza e l’eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese hanno ripreso fiato nel dibattito politico, i temi centrali non sono stati però quelli di politica estera, neppure un ulteriore avvicinamento all’Unione europea (la Norvegia è parte dello Spazio economico europeo ma non della Ue), di cui Oslo è già primo fornitore di gas e il cui ruolo è destinato a crescere dopo l’addio, annunciato da Bruxelles, alle forniture russe.
«Ci aspettavamo che fosse così – spiega Peter Egge Langsæther, politologo dell’Università di Oslo – e fino a qualche mese fa le questioni internazionali erano in cima alla lista. Poi però il generale consenso tra i partiti su questi temi – più spesa per la difesa, più sicurezza nazionale, sostegno all’Ucraina, seppure con diversi accenti – hanno spostato il dibattito su questioni interne, economiche. Quanto all’Europa, sebbene oggi i norvegesi siano più favorevoli alla Ue rispetto a un paio di anni fa, non è stata al centro della campagna perchè, credo, rimane un tema controverso, che attraversa l’asse destra-sinistra: ci sono partiti che sono a favore e contro l’adesione della Norvegia da entrambe le parti. E questo significa che, qualunque sia la coalizione vincente, sarebbe molto difficile aprire questo dibattito».
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