Salute

Parte la scommessa delle Case di comunità, ma le cure sono ancora con il contagocce

Mancano poco più di 500 giorni all’apertura di oltre 1400 Case di comunità in tutta Italia finanziate con 2 miliardi dal Pnrr. Ma ad un anno e mezzo dalla loro messa a regime questi maxi ambulatori che dovrebbero far decollare la Sanità territoriale, cioè le cure più vicine ai cittadini, restano per molti cittadini ancora un oggetto misterioso. Al di là della scadenza di metà 2026 – al 30 giugno scorso erano attive 413 sulle 1420 complessive da aprire – il vero rebus sono i servizi che le nuove Case di comunità devono erogare.

Le prestazioni che dovrebbero erogare le Case di comunità

Al momento le prestazioni sono spesso a singhiozzo, se non con il contagocce, in tante strutture, come ha recentemente certificato la Corte dei conti per le 125 Case di comunità della Lombardia che oggi lavorano con una «ridotta operatività per effetto della carenza di personale medico e di forti limitazioni sull’orario di apertura e sulla gamma di servizi previsti». Già, ma quali prestazioni dovrebbero garantire queste nuove strutture ? Qui i cittadini dovrebbero trovare visite, analisi, prima diagnostica, vaccini e screening, evitando di affollare gli ospedali quando non c’è bisogno. A esempio oltre alla classica visita medica anche in certi orari la visita specialistica per le patologie più diffuse (cardiologia, pneumologia, ecc.). E poi la prima diagnostica utile soprattutto per anziani e cronici che potranno accedere ad ecografi, elettrocardiografi, retinografi, oct, spirometri, ecc.

Il personale sanitario e gli orari di apertura

Nelle Case di comunità infine si dovrebbero trovare anche i servizi di prenotazione di visite e ricoveri (il Cup), l’attivazione delle cure a casa e della telemedicina, oltre che i servizi per la salute mentale, le dipendenze o l’assistenza sociale. Una lunga lista di prestazioni che finora sembra più una lista dei desideri per i pazienti che si affacciano in queste strutture visto che in ben 120 Case di comunità su 413 attive a giugno scorso non c’è neanche la presenza di un medico, ma solo di infermieri. E in 58 Case di comunità i camici bianchi ci sono meno di 30 ore a settimana. Eppure queste strutture dovrebbero essere aperte h24 (o almeno 12 ore) sette giorni su sette – la maggior parte invece arriva al massimo a 12 ore – con la presenza anche di specialisti come lo psicologo, il logopedista, il fisioterapista, il dietista, il tecnico della riabilitazione e l’assistente sociale e quando necessario il cardiologo, lo pneumologo o il diabetologo.

La possibile riforma dei medici di famiglia

Il nodo fondamentale è dunque il personale. E se la manovra dell’anno scorso aveva stanziato fondi per le assunzioni, quest’anno invece in legge di bilancio non c’è nulla. Il ministro della Salute Orazio Schillaci punta comunque a farci lavorare i medici di famiglia, a partire da quelli più giovani da assumere come dipendenti grazie a una delicata riforma ora in cantiere. E intanto, come ricorda il presidente dell’Ordine dei medici Filippo Anelli, grazie all’ultima convenzione che diventa operativa nel 2025 i quasi 40mila medici di famiglia garantiranno già «venti milioni di ore nelle Case di comunità».

Nelle Case di comunità anche i casi meno gravi dai pronto soccorso

Poi ci sono Regioni come l’Emilia Romagna e la Toscana che già da anni hanno aperto decine di Case della salute a cui si sono ispirate queste Case di comunità finanziate dal Pnrr. E che hanno deciso di cominciare ad attivare al loro interno anche dei “pronto soccorso leggeri” – in Emilia si chiamano Cau (Centri di assistenza e urgenza) e Pir (Punto intervento rapido) in Toscana – per attrarre nelle nuove strutture quei casi meno urgenti (i codici bianchi, celesti e verdi): da piccole ferite e tagli a distorsioni, da febbre moderata a mal di testa o sintomi influenzali, dal classico mal di pancia ai dolori addominali ai disturbi oculistici e ginecologici. «È necessario però che si chiarisca presto e bene cosa possono fare le Case di comunità su questi casi meno urgenti per evitare che si crei confusione nei cittadini che magari si presentano nel posto sbaglato in caso di emergenza”, avverte Alessandro Riccardi, presidente della Simeu, la società che rappresenta i medici dei pronto soccorso.


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