Papa Francesco vicino ai detenuti fino alla fine
Là dove nessuno o quasi guarda, le carceri, Papa Francesco ha invece sempre volto le proprie attenzioni, cercando quando possibile di essere presente in prima persona. Non stupisce quindi che il suo ultimo atto concreto terreno sia stato rivolto a chi dietro le sbarre sta scontando la propria pena.
Come rivelato in un’intervista a Repubblica da Monsignor Benoni Ambarus, Vescovo delegato alle carceri e ausiliare di Roma, il pontefice prima di morire ha donato 200.000 euro ai detenuti, prelevandoli dal suo conto personale.
Probabilmente consapevole di essere giunto alla fine della propria vita, ha deciso di lasciare quelli che erano tutti i suoi avere ai più invisibili tra gli invisibili, confermando la vicinanza all’ambiente carcerario, portata avanti anche quando le energie iniziavano a scarseggiare. «Era un modo per riaccendere la luce sul mondo dei detenuti. Per loro significa speranza, presenza, rispetto», ha affermato Monsignor Ambarus.
Prima del bagno di folla pasquale a San Pietro, la sua ultima uscita pubblica era stata proprio in un carcere, a Regina Coeli, in occasione del Giovedì Santo. Ogni anno è lì che il pontefice ama replicare il rituale della lavanda dei piedi fatta da Gesù agli apostoli, e anche se quest’anno non è riuscito a farla non è voluto comunque mancare a un appuntamento che reputa importantissimo. Tra le mura del penitenziario che si trova alle spalle del rione Trastevere si è fermato per circa una mezz’ora, incontrando 70 detenuti di diverse età e nazionalità, il 55% dei quali in attesa di giudizio, tutti felicissimi della sua presenza e che ora, forse più di altri, piangono la perdita, consapevoli che per loro il Papa avesse avuto occhi speciali fin dall’inizio del suo pontificato.
La prima visita in un carcere risale al 28 marzo 2013. A sole due settimane dall’elezione al soglio pontificio, in occasione del Giovedì Santo fece la lavanda dei piedi ad alcuni detenuti dell’Istituto penale per minorenni di Casal del Marmo, a Roma, e da quel momento le sue visite divennero abituali.
«Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: “Se lo merita”. Perché voi e non io? – affermò durante una visita a San Vittore a Milano nel 2017 – Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori».
Nemmeno in occasione dell’inaugurazione dell’anno santo del Giubileo Papa Francesco aveva dimenticato i detenuti. Lo scorso 26 dicembre, infatti, aveva deciso di aprire la seconda Porta Santa del Giubileo nella chiesa del Padre Nostro nel carcere romano di Rebibbia. Un atto compiuto nell’anno che celebra la misericordia di Dio e che esprime un forte significato non solo religioso ma anche sociale.
Papa Francesco rifiutava la visione solo punitiva del carcere e l’idea che alcune persone siano irrecuperabili, ma al contrario riteneva che la vocazione di questi luoghi fosse quella del reinserimento e che la dignità umana non dovesse mai perdersi, nemmeno dietro le sbarre.
Anche per questo nel 2013 aveva abolito l’ergastolo nella Città del Vaticano, e introdotto il reato di tortura, che in Italia invece sarebbe arrivato solo nel 2017.
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