Società

Papa Francesco, il ricordo da Santa Marta: «Dapprima reciprocamente estranei, poi complici scherzosi e divertiti. Era l’unico ad apprezzare i miei maglioncini fluo»

Questo articolo è pubblicato sul numero 19 di Vanity Fair in edicola fino al 6 maggio 2025

I think best, when I write, ha sempre ammesso il teologo e filosofo John Henry Newman. «Penso meglio, quando scrivo», ed è così che mi accingo a queste righe per capire che cosa è successo di strano a Santa Marta da lunedì 21 aprile. Che cosa aleggia nell’aria sin dalle prime ore della morte di papa Francesco. L’ho avvertito subito, appena rientrato, in tutta fretta, dalle vacanze pasquali nella casa dove abito da dieci anni, suo coinquilino.

Dapprima reciprocamente estranei, imprigionati nella nostra diversità, e poi in una complicità scherzosa e divertita, che è stata una delle esperienze più poetiche della mia vita. Era l’unico ad apprezzare i maglioncini fluo, con cui si potesse ridere delle cose che accadevano; quello che, abbassando il finestrino, mi dava un passaggio in auto fino al lavoro, e che mi chiamava la «rata», ossia il «topo (di biblioteca)» per via del mio lavoro, ma precisando «è benevolo, eh, lo dico per
affetto!».

Una volta lo fece in occasione di un discorso ufficiale, dopo aver citato Virgilio e i Maccabei, e spiegò che era un modo per esorcizzare l’impressione di chi dedica la propria vita a un lavoro culturalmente molto alto.

Non è un vuoto, quello che si percepisce ovunque in casa, né una semplice assenza, non è la nostalgia umanissima per una persona pure unica e irripetibile, ma l’impressione di un varco che si è richiuso. Di un’atmosfera che torna a farsi, se non pesante, austera e formale. Grigia e sussiegosa. Senza vita.

Ironico era ironico, certo, e poi anticonvenzionale e informale, diretto e franco, umorale e ostinato, a volte esagerato, tutto vero, eppure nulla di ciò basta a rendere ragione di questa particolare impressione di claustrofobia. Anche perché non era una questione caratteriale, qualcosa di riconducibile al temperamento o a una particolare condizione di vita, a un’educazione familiare e scolastica sua propria o a qualsiasi altro fattore umano. Il segreto della sua presenza era un altro, quello trascendente della Grazia. Ne sono sempre più convinto.

Al cuore della persona, della vita e poi del ministero di papa Francesco c’è stato un episodio di Grazia, che, come tale, ha un preciso contesto, un luogo e un orario: le «quattro del pomeriggio» dei primi discepoli, la via di Damasco di Paolo, le rive di Manresa per Ignazio di Loyola, lo sperone di roccia a Gaeta per Filippo Neri. Tutti appuntamenti geolocalizzati.


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