Paolo Ruffini: «Ho sentito troppi colleghi doversi giustificare e ricordare che è solo un film, interpretare un personaggio come Mussolini e dover garantire di essere antifascista. È ridicolo»
I format sui social network, gli spettacoli a teatro, una commedia uscita in sala il mese scorso e un libro che, da febbraio, ha già venduto oltre 10mila copie. Attore, sceneggiatore, conduttore, regista e produttore. La creatività di Paolo Ruffini è come la pallina di un flipper, che rimbalza da una parte all’altra totalizzando bonus ovunque sbatta. «La mia ispirazione è la noia», ci racconta sorridendo a margine del Marateale, il festival internazionale di cinema che si svolge annualmente a Maratea. «Sono un po’ viziato dalla mia iperattività e dalla volontà di fare qualcosa che possa avere un impatto, in un momento culturale secondo me non è così vivace. Sarà stata questa ondata del politicamente coretto, che credo sia la cosa più volgare che l’uomo potesse concepire nella sua creatività. Per la mia educazione, ho sempre preferito chiedere scusa piuttosto che permesso».
Il concetto è chiaro: «Anche oggi vengono fatti bei film, certo, ma dovremmo chiederci se la nostra creatività venga limitata. Ripenso a Monicelli con Alberto Sordi in Un borghese piccolo piccolo, o a Lina Wertmüller con il suo Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Immaginate se qualcuno provasse a realizzarli adesso. Io non voglio pensare che oggi Luciano Selce non potrebbe fare Fantozzi per evitare che qualcuno si indigni. Siamo tornati indietro di 150 anni», sottolinea l’artista toscano, dopo aver ricevuto il Premio Internazionale Basilicata. «Inoltre non voglio neppure pensare che se interpreto un serial killer che ammazza le donne debba chiarire che non ho niente contro le donne. Ho sentito troppi colleghi doversi giustificare e ricordare che è solo un film, interpretare un personaggio come Mussolini e dover garantire di essere antifascista. È ridicolo».
Un riferimento al Luca Marinelli nei panni del figlio del secolo? Di sicuro un gancio perfetto per planare sull’ultimo libro di Ruffini, Benito, presente!: «È la storia di un professore del liceo classico, un uomo di sinistra e abbastanza disilluso, che a causa di un fulmine e di una botta in testa fa un salto temporale e si ritrova nel 1890, con Mussolini di sette anni come alunno», spiega l’autore. «E cosa succede se il tuo grande nemico di sempre è un bambino piccolo? Lui cerca di educarlo, in maniera anche goffa, di stringerci una relazione per provare a cambiare il mondo con la cosa più politica che esista: l’amore. Credo ci si debba chiedere se nel 2025 siamo ancora bravi a fornire la giusta educazione ai bambini: sicuramente come genitori siamo fallibili, e le istituzioni dovrebbero porsi lo stesso quesito, se valga la pena introdurre un po’ di educazione emotiva».
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