Friuli Venezia Giulia

Ottant’anni dalla bomba atomica su Nagasaki, il legame con Trieste

09.08.2025 – 07.01 – Ottant’anni fa, alle ore 11:02 del 9 agosto 1945, il Boeing B-29 Superfortress BOCKSCAR sganciò sulla città di Nagasaki la bomba atomica ‘Fat Man‘. L’ordigno, contenente 6,4 kg di plutonio-239, esplose a 470 metri di altitudine sulla zona industriale della città, causando 80mila morti. Le stime odierne oscillano tra 35-40mila giapponesi uccisi all’istante, 55mila feriti; di quest’ultimi la maggior parte morì a causa delle radiazioni.
La città era un obiettivo secondario; all’inizio l’aereo avrebbe dovuto colpire Kokura, poi a causa delle cattive condizioni atmosferiche si preferì Nagasaki. Questa era una città con un importante porto e fabbriche di armi molto sviluppate, ma nel contempo era uno dei centri urbani meno favorevoli alla prosecuzione della guerra. Il ceto operaio aveva infatti una tradizione sindacalista e socialista; era la città col più alto numero di giapponesi convertiti al cristianesimo; e oltre ad ospitare un piccolo gruppo di vittime di Hiroshima, Nagasaki aveva anche dei campi di concentramento con prigionieri americani e inglesi, di cui una piccola parte perì per le radiazioni lanciate dai loro stessi Alleati.

Tra le macerie della città sopravvissero alcuni alberi; i giapponesi parlano di hibaku-jumoku, ovvero ‘alberi sopravvissuti alla bomba atomica‘. Forse erano abbastanza lontani dall’epicentro dell’esplosione, forse le radici coperte dalla terra prevalsero sulle radiazioni; in ogni caso tra queste piante sopravvisse un caco. Nel 1994, conoscendone la storia, l’arboricoltore giapponese Masajuki Ebinuma prese a cuore il destino di questa pianta così resistente e, dopo averla seguita per diversi anni, riuscì ad avere dei frutti che oggigiorno vengono piantati in tutto il mondo. Un simbolo di pace che cresce e prospera in tante città in Europa ‘sorelle’ di Nagasaki.
Un esempio è proprio Trieste dove, nel 2013, venne piantato un bastone di cachi proveniente dalla pianta giapponese originaria. Il luogo è una piccola aiuola, con un cordolo di pietra incisa, dietro la palazzina della Direzione nell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni. L’albero di cachi, si argomentò più di dieci anni fa, non sarebbe sopravvissuto: troppo diverso il clima, troppo forte il vento di Bora. Eppure è ancora qui a ricordare la sua storia e, ad ottant’anni dal bombardamento atomico di Nagasaki, germoglia un simbolo di pace.

Il Comitato Pace Convivenza Solidarietà e Diritti Danilo Dolci, come ogni anno, terrà un momento commemorativo presso l’albero di cachi oggi, alle ore 18.30, “per ricordare e onorare le vittime e per riflettere sulla necessità di escludere per sempre questi ordigni orribili dalla storia dell’uomo”.

[z.s.]




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