Veneto

Orsini per la terza volta è Ivan Karamazov: «La libertà è un peso difficile da sostenere»

Un grande attore, uno degli ultimi della grandissima stagione del teatro italiano della seconda metà del secolo scorso, Umberto Orsini torna in regione, oggi lunedì 20 al Verdi di Maniago alle 20.45 e domani, martedì, al Ristori di Cividale (stessa ora) con uno dei personaggi che più gli sono affini, il dostoevskijano Ivan Karamazov, con cui si è cimentato più volte. A partire dal mitico sceneggiato del 1969 firmato da Sandro Bolchi, trasposizione televisiva dell’ultimo e più rappresentativo romanzo di Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov e poi con Le leggenda del grande Inquisitore e infine in queste ultime stagioni con Le memorie di Ivan Karamazov, una riscrittura del personaggio fatta dallo stesso Orsini a quattro mani con Luca Micheletti , regista.

Molti hanno scritto che quello di Ivan Karamazov per Orsini è una sorta di alter-ego, per cui dopo 70 anni di carriera, il prossimo 2 aprile Orsini festeggerà i 90 anni, risulta difficile dire dove comincia uno e finisce l’altro, e quanto la psicologia del ruolo ha influito sull’evoluzione dell’attore. Ma di questo a lui la parola.

«È la terza volta che affronto la figura di Ivan Karamazov, è vero, ma questa volta immaginando che Ivan rivendichi quel finale che Dostoevskij gli ha negato nel romanzo. Nel nostro copione Ivan rifiuta l’abbandono, l’incompiutezza in cui l’ha lasciato il suo creatore.

E questo dà la stura al raccontarsi di Ivan, che rivive in un’aula vecchia e fatiscente di tribunale la sua storia e quella della sua famiglia, ribadisce le sue convinzioni di miscredente e nichilista sull’amoralità del mondo, i suoi tormenti interiori, i fantasmi che continuano a segnarne l’esistenza. Rivive così l’uccisione del padre per mano del fratellastro Smerdijakov da lui stesso sobillato, la purezza del fratello Alioscia, la figura del Grande Inquisitore in quel romanzo che non è riuscito a scrivere, e che rappresenta la summa del suo pensiero e di quello di Dostoevskij, ovviamente… Il tutto si badi bene con le parole di Dostoevskij».

Un personaggio intimamente legato al suo essere attore…

«Trattandosi di un personaggio che ho fatto in gioventù in un sceneggiato di grande successo, questo è entrato nell’immaginario collettivo. Una suggestione e un fascino, una valenza storica che persistono e che vengono in qualche modo rinverditi nel fatto che sia proprio io a interpretarlo: è come se Ivan fosse invecchiato con me, vivesse nella mia pelle.».

Che cosa ci dice oggi Ivan Karamazov, quale aspetto della contemporaneità incarna?

«Il dubbio che la libertà sia un dono che l’uomo può amministrare, ma che maltempo stesso sia un peso troppo pesante da sostenere, per cui si preferisce assoggettarsi all’autorità. Dice il Grande inquisitore: la domanda che più frequentemente l’uomo pone è ditemi a chi genuflettermi, a chi affidare la mia coscienza e, per non rimanere soli, con chi riunirsi tutti quanti in un confortevole formicaio. Se non è specchio dell’oggi questo..».

In un momento come questo in cui per necessità, credo, più che per virtù il teatro italiano è pieno di spettacoli che sono monologhi in scenografie per lo più scarne e “povere”, il suo invece che monologo è?

«È uno spettacolo vero, basti dire che giro con un tir di 14 metri per portare tutta la scenografia, che è parte integrante del racconto, con i suoi movimenti, le sue sorprese. È uno spettacolone, forse d’altri tempi. Ma è il solo teatro che so fare, anche come produttore, visto che questa è l’altra mia attività con una serie di spettacoli che girano l’Italia».

Ricordiamo a questo proposito Uno sguardo dal ponte appena visto a Udine e prossimamente I due ragazzi irresistibili di Neil Simon in combutta con Franco Branciaroli prossimamente a Pordenone e a Palmanova.

Testimone e protagonista del miglior teatro italiano del secondo ’900, che ha attraversato incontrando i più grandi interpreti, attori e registi. Quei personaggi, quei geni non le mancano?

«Mi manca la presenza di quei modelli, però grazie a Dio non mi manca la memoria, per cui tutte le cose che faccio è come se in platea ci fossero i miei maestri, De Lullo, Zeffirelli, Visconti, Ronconi, e recito non per una platea di sconosciuti ma sotto il loro occhio e cerco di non tradirli, perché so che ogni sera sono lì».


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