Organic Flows, natura e memoria in mostra

Sospeso tra memoria e natura, il lavoro di Greta Affanni rimanda a quel passo del De rerum natura in cui Lucrezio descrive il mondo come composto da due elementi: i corpi e il vuoto. È in questo spazio di tensione che si sviluppa la poetica dell’artista: segni che diventano tracce, frammenti che evocano organico e vegetale, immagini che si compiono proprio nell’assenza, nel vuoto fisico ed evocativo che circonda la materia.
L’arte di Affanni, raccolta sotto il titolo Organic Flows, è un’indagine visiva ed emotiva che attraversa la relazione tra uomo e natura, tra memoria e segno, in un dialogo costante tra presenza e assenza. La mostra dell’artista toscana, a cura di Attilio Luigi Ametta, Marco Fossati e Maurizio Nobile, è esposta alla Galleria Maurizio Nobile Fine Arts in piazza Santo Stefano dal 10 al 30 ottobre.
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La mostra si intitola Organic Flows. Come nasce questo titolo e qual è il filo che tiene insieme le opere?
La mostra si intitola Organic Flows, quindi flussi organici. È l’esito di una ricerca che porto avanti da dopo gli studi all’Accademia, dal 2020. È un lavoro che mette in relazione soggetti sulla soglia tra mondo animale, vegetale e organico. Non è un lavoro neofigurativo in maniera definita, ma un lavoro che si colloca sulla soglia. Sono soggetti che costruisco partendo dal loro nucleo interno e che trovano la loro forma in modo intuitivo e non premeditato.
Dal punto di vista tecnico, quali materiali e procedimenti utilizzi?
Lavoro su plexiglass per i formati grandi e su fogli in Pvc per quelli piccoli, quasi formato A4. Uso inchiostro per aerografo mescolato a solventi, che stendo col pennello. È un materiale pratico e con asciugatura rapida, che mi permette di lavorare anche per sottrazione: tampono con il pennello o, una volta asciutto, rimuovo con punte da incisione. Quando il lavoro è finito giro la lastra o il foglio e, nel caso del plexiglass, continuo a incidere con punte per creare iridescenze. È un lavoro che si ispira più alla grafica d’arte che non alla pittura.
Ci sono riferimenti culturali che ti hanno guidata nella tua ricerca?
Ho avuto come docente all’Accademia Giovanna Caimmi, disegnatrice che mi ha trasmesso l’importanza del segno. Un’altra esperienza fondamentale è stata la retrospettiva di Piero Manai del 2019 alla galleria P420: mi ha influenzato molto nel modo di percepire la relazione tra figura e segno.
In opere come Primo Notturno Mediterraneo emerge un senso di narrazione. Quanto è importante questo aspetto?
Lavorare su plexiglass mi porta a percepire il lavoro quasi come fotografico o narrativo. Non è premeditato come racconto, ma può diventarlo. Anche i lavori piccoli, messi insieme, acquisiscono significati diversi: assemblarli è un modo per dare nuova vita a opere che magari da sole non funzionavano. È un lavoro germinale.
Il tuo lavoro nasce spesso da elementi animali e vegetali. Qual è la scintilla che ti muove?
La cosa che mi colpisce, dal punto di vista animale, è la superficie della peluria: capelli, pelo, corporeità. Una peluria può essere tantissime cose, suprema bellezza o bellezza assoluta. Nei lavori estrapolo anche elementi viscerali, perché per me è molto importante lavorare col corpo.
Questo rimanda a un’idea di fisicità molto forte, quasi performativa.
La fisicità è fondamentale. Oltre al liceo artistico di Carrara, ho una formazione nel teatro di ricerca e una laurea in danza e storia della regia. Ho un modo di lavorare che riflette questa gestualità: i cambi di velocità che si vedono nei soggetti o nei tratti sulle carte vengono proprio da un lancio fisico, da un movimento del corpo.
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