operata d’urgenza il giorno dopo
Disavventura per una donna operata d’urgenza all’addome, all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine. Prima del ricovero – nei giorni scorsi –, deciso dopo un’ecografia programmata da tempo, la donna si era recata al Pronto soccorso dell’ospedale cittadino, in preda a dolori lancinanti. Ma nessuno l’ha visitata, nonostante le oltre cinque ore di attesa. “Sono mancati del tutto il rapporto umano, l’empatia, la gentilezza e la comprensione” ci racconta il compagno della paziente.
Cosa è successo
“Forse, per ricevere attenzioni nel Pronto soccorso, devi essere moribondo” esordisce il signor D. 77 anni, che ci racconta che cosa è accaduto alla compagna, una donna di 79 anni. “Ci hanno portato in ospedale verso le 16 e 30. La mia compagna non si reggeva nemmeno in piedi dai dolori all’addome. Abbiamo fatto l’accettazione e poi ci siamo seduti ad aspettare. Viste le sue evidenti condizioni di sofferenza, pensavo che l’avrebbero chiamata in breve tempo”. Invece, i minuti passano e non accade nulla. “Dopo due ore, sono tornato allo sportello dove c’era ancora l’infermiera che ci aveva fatto l’accettazione precedentemente. Insieme a lei, un altro infermiere. Ho aspettato che si liberassero e ho chiesto che codice era stato assegnato alla mia signora, per capire quanto ancora c’era da aspettare”. L’infermiere risponde che, alla donna, è stato assegnato il codice azzurro, ma che stavano rivalutando la situazione. “A quel punto mi sono arrabbiato. Come era possibile? Nessuno l’aveva visitata. Allora si erano sbagliati all’inizio e doveva avere un codice di gravità più alto”. L’infermiere insiste che non c’è stato errore. “A quel punto sono sbottato e ho detto: se avete sbagliato colore, dovete cambiare mestiere, e sono tornato a sedermi”.
In pronto soccorso
Dopo qualche minuto la donna è chiamata in area medica. “Ma è stata via veramente poco. Quando è uscita mi ha detto che l’infermerie dell’accettazione le aveva tastato un attimo l’addome e le aveva detto di riaccomodarsi in sala d’attesa, che avrebbe chiamato il medico” ci dice D. Che prosegue: “Ho pensato che la mia compagna fosse così grave da dover chiamare uno specialista da Chirurgia o da Gastroenterologia e, mi sono detto, ci vorrà poco e poi la visiteranno”. Nel frattempo, la donna si sente sempre più male, tanto da vomitare in bagno. “Sono passate altre due ore e non è successo nulla. Nemmeno una parola da nessuno. Siamo rimasti là seduti senza sapere nulla”. A un certo momento, quando si aprono le porte della zona visite, D. si precipita all’interno della struttura domandando spiegazioni. “Ho chiesto allo stesso infermiere quanto ci volesse per avere lo specialista. E lui mi ha guardato in malo modo e mi ha confidato che non l’avrebbe visitata nessuno specialista, ma il dottore del pronto soccorso”. A quel punto D si altera di nuovo. “Non ci ho visto più. L’infermiere ha alzato la voce, dicendomi che io non so nulla di come lavorano, né di come funzionano le cose. E nemmeno quanti pazienti hanno e come li gestiscono. Ho risposto che ben volentieri sarei rimasto a vedere cosa stavano facendo, ma lui mi ha chiesto di tornare in sala d’attesa”.
Una notte in Pronto soccorso
Il giorno dopo
Dopo cinque ore di attesa, stremati e disillusi, D. e la compagna decido di tornare a casa senza che la donna venga visitata da un medico. “L’indomani avevamo un’ecografia programmata con un gastroenterologo, sempre in ospedale. Ci siamo detti che era meglio aspettare a casa che in pronto soccorso”. Il giorno seguente la donna va alla visita e viene mandata subito in pronto soccorso e, da lì, ricoverata d’urgenza. “L’hanno operata lunedì 3 marzo. Avrebbero voluto farlo prima, ma era troppo debilitata per affrontare un intervento. Ora è ricoverata, aveva un’ostruzione intestinale”. D. è convinto. “Dovevo lasciare che vomitasse in accettazione, allora sì che avrebbero capito. Se avessero dato peso alla gravità della situazione, l’avrebbero ricoverata immediatamente. Non mi lamento del lavoro dei medici e degli infermieri, ma di come ci hanno trattati, senza umanità”.
Le reazioni
“Chi va in Pronto soccorso spesso non ricorda gli esami fatti o le cure ricevute, ma ricorda sicuramente come è stato trattato e come è stato accolto”. Ne è convinto David Turello, direttore sanitario dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, raggiunto al telefono: “Ci dispiace molto che queste persone abbiano avuto una percezione così negativa del personale del Pronto soccorso. Di sicuro, posso affermare che diamo delle direttive affinché il rapporto con i pazienti venga gestito con gentilezza e professionalità. Certo che la situazione di pressione a volte non aiuta: né da una parte, né dall’altra. In ogni caso, l’assegnazione dei codici del triage non è opinabile. Si basa su una protocollo standardizzato, riconosciuto a livello internazionale, secondo i dati che vengono riferiti in accettazione. Viene, quindi, attribuito direttamente dal sistema” ci dice il direttore sanitario, che conclude: “In questo caso specifico, non so esattamente cosa sia successo. Ci saranno state, probabilmente, delle motivazioni di carattere operativo. Ci dispiace che queste persone abbiano dovuto attendere tante ore, ma anche per il modo in cui sono state trattate. Stiamo cercando di trovare delle modalità operative più veloci. E rimarchiamo, ancora una volta, l’importanza degli aspetti relazionali con i pazienti e gli accompagnatori. A volte il pressing dell’operatività crea delle situazioni di disagio”.
Source link