Omicidio Gelao a Japigia, Dda contro l’assoluzione di Busco
Il pregiudicato Antonio Busco aveva la direzione della ‘picchiata’ con la quale il 6 marzo 2017 al quartiere Japigia di Bari fu ucciso Giuseppe Gelao e ferito Antonino Palermiti, nipote del boss Eugenio, nell’ambito della guerra fra i due clan di quell’anno. Ne sono convinti il sostituto procuratore antimafia Fabio Buquicchio, il procuratore generale Leonardo Leone de Castris e l’avvocato generale Giuseppe Maralfa, che hanno presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione di Busco disposta dalla Corte d’appello di Bari il 12 giugno scorso.
I giudici di secondo grado avevano ribaltato la sentenza dei colleghi della Corte d’assise, per i quali Busco era mandante e uno degli esecutori del blitz omicida, ritenendo che gli indizi a suo carico non fossero sufficientemente probanti. Di diverso parere Buquicchio, De Castris e Maralfa, che in 36 pagine hanno evidenziato gli elementi per cui quella decisione va annullata. Innanzitutto, prendono in esame la sentenza assolutoria e ormai definitiva di Giuseppe Signorile e Davide Monti, inizialmente accusati di aver partecipato all’agguato. E’ vero che sono stati assolti, fanno notare, ma i giudici della corte d’appello hanno ignorato il fatto che “vi è prova certa in atti che del commando esecutore dei delitti – si leggeva in quella sentenza – facevano parte sicuramente Busco Antonio e De Santis Nicola, appartenenti al clan Busco”. E ancora, sarebbero stati ignorati altri elementi, come la lettera riconciliatoria mandata da Busco ai Palermiti, dopo l’omicidio in risposta di De Santis, nella quale parla di una guerra della quale sono tutti partecipi, e i post pubblicati da Speranza Signorile, sorella di Giuseppe e amante di Busco, prima e dopo l’agguato a Palermiti: nel primo impugna una pistola e scrive “e fu così che uccise tutti”, nel secondo “e non finisce qua”.
Dopo l’omicidio Gelao e dopo il mancato riscontro alla lettera con l’offerta di pace, Busco fece perdere le proprie tracce. Non mancano, nel ricorso alla Suprema Corte, le contestazioni relative alla statura di Busco, riconosciuto da più persone come il killer di Gelao: circostanze ritenute insufficienti dalla Corte d’appello. E allora, concludono i ricorrenti, “ritenuta insufficiente e contraddittoria la prova della materiale partecipazione del Busco all’incursione armata che ii marzo 2017 costò la vita al Gelao e ferì gravemente Palermiti – si legge nel documento – la Corte d’appello avrebbe potuto e dovuto qualificare la condotta ascritta al Busco quale concorso morale nei delitti di cui al capo di imputazione, trattandosi di condotta implicita in quella di direzione dell’attività criminosa espressamente contestata al Busco nel capo di imputazione”.