oltre 48mila fedeli in meno di 24 ore per l’ultimo saluto a papa Francesco
La luce dei lampioni, ancora accesa, disegna riflessi arancioni sulle pietre di piazza Risorgimento. È l’alba di mercoledì, ma Roma non ha mai davvero dormito.
La fila che ieri mattina sembrava un semplice serpentone ordinato è diventata, con il passare delle ore, un vero fiume umano: due chilometri continui, un nastro di persone che parte dal grande slargo ottocentesco, gira intorno alle transenne, attraversa Porta Angelica e scivola silenzioso verso il colonnato di Bernini. Obiettivo comune: varcare la soglia della Basilica Vaticana dove, immobile e sereno, riposa papa Francesco.
Una notte senza chiavi
Alle 24 in punto, quando – da protocollo – le porte avrebbero dovuto chiudersi, è arrivato il contrordine. I numeri erano già impressionanti: 35 mila ingressi in tredici ore. Ma fuori restavano ancora migliaia di fedeli, pellegrini, curiosi, religiosi, semplici cittadini scesi per strada in felpa e scarpe da ginnastica.
“Lasciate la basilica aperta a oltranza” è stata la decisione del Cerimoniale. Così, tra mezzanotte e le cinque e mezza, altri 13 mila volti hanno percorso la navata centrale, alcuni in completo silenzio, altri sussurrando un’Ave Maria, altri ancora asciugandosi in fretta le lacrime per non rallentare il passo.
Cronometria della devozione
Per molti il tempo d’attesa è stato due, tre, anche quattro ore. Giusto il tempo di scambiare una parola con il vicino, condividere un thermos di caffè o un Rosario ricevuto in dono a Lourdes. Quando il nastro umano si avvicina finalmente ai metal detector di piazza San Pietro, le chiacchiere si spengono di colpo.
Sotto il colonnato, la fila diventa un respiro unico. Bastano dieci, quindici secondi davanti al feretro: una genuflessione, un segno di croce, a volte un bigliettino infilato accanto ai fiori bianchi deposti sul cuscino.
Alle 8.30 del mattino i media vaticani diffondono il dato ufficiale: 48 600 persone da martedì alle 11.
Un record che pesa soprattutto sulla retina di chi lo ha visto con i propri occhi: guardie svizzere sorprendentemente sorridenti, medici e volontari della Misericordia che distribuiscono bottigliette d’acqua, giovani seminaristi che aiutano i pellegrini più anziani a superare l’ultimo gradino di marmo.
Storie in coda
C’è Miriam, arrivata da Buenos Aires con un volo prenotato mesi fa “per il Giubileo”. Regge una foto scattata nel 2015, quando Bergoglio la benedisse durante l’udienza generale del mercoledì: “Mi ha insegnato che la fede è gioia, non condanna”. C’è Ahmed, egiziano, musulmano, impiegato in un ristorante di Trastevere: “Vengo a ringraziare un uomo che ha parlato più di tutti di fratellanza”. C’è anche Luca, 19 anni, scout di Ostia, che ha dormito per terra con il suo reparto per essere il primo a entrare all’alba: “Se resuscita, è colpa nostra che non lo lasciamo riposare”, scherza sottovoce.
Il conto alla rovescia
Da qui a sabato mattina le previsioni dicono 200 mila presenze, forse di più. Centosettanta delegazioni internazionali, dieci capi di Stato, due re, un Nobel per la pace e un ex presidente americano.
Roma indossa il lutto, ma sembra quasi un grande mantello di accoglienza: 2 mila agenti di polizia locale in strada, pattuglie fluviali sul Tevere, droni che volano sopra i tetti per restituire immagini in 3D alla sala operativa della Questura.
Eppure, camminando adesso tra la gente in fila, non c’è il frastuono che ci si potrebbe aspettare da un evento planetario. Ci sono passi ovattati, coperte piegate sulle spalle, Padre Nostro sussurrati in mille accenti diversi.
Tutti – credenti, agnostici o curiosi – sembrano intuitivamente consapevoli di partecipare a qualcosa che va oltre il semplice rito funebre: è un saluto collettivo a un uomo che, con la sua voce roca e il suo sorriso un po’ timido, aveva convinto il mondo che “essere popolari” poteva ancora significare farsi prossimi agli ultimi.
Quando il sole sale alto sul Cupolone e la fila ancora non accenna a diminuire, una ragazza con un mazzo di rose rosse si gira verso il suo compagno: “A Roma non succede mai che la gente resti in silenzio così a lungo”. Lui annuisce, stringendole la mano. In fondo, la magia di queste ore sta tutta lì: in un’intera città che, per salutare il proprio vescovo, ha imparato a parlare piano.
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