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ogni anno 20 milioni di tonnellate in più

Un mondo di plastica: è emergenza globale: entro il 2060 si prevedono oltre 725 milioni di tonnellate in più.

La plastica, invenzione del XX secolo simbolo di modernità e progresso, sta diventando uno dei peggiori incubi del XXI secolo. La sua produzione incontrollata, la gestione inefficiente dei rifiuti e il riciclo ancora marginale stanno generando una crisi globale che minaccia non solo l’ambiente, ma anche la salute dell’uomo.

Secondo le stime più recenti, entro il 2060 il mondo dovrà fronteggiare un incremento netto di 725 milioni di tonnellate di plastica. Se oggi la produzione globale si attesta sui 475 milioni di tonnellate l’anno, si prevede che questa cifra possa superare i 1.200 milioni entro i prossimi 35 anni. Una proiezione che appare ancora più allarmante se si considera che metà di tutta la plastica mai prodotta è stata realizzata solo dopo il 2010.

Nel frattempo, si contano già oltre 8 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici dispersi nell’ambiente, mentre il tasso di riciclo globale rimane sotto la soglia del 10%. A fronte di queste cifre, la comunità internazionale si prepara a un momento cruciale: la sessione finale del negoziato ONU per il Trattato Globale contro l’inquinamento da plastica, in programma a Ginevra dal 5 al 14 agosto.


Un consorzio internazionale per monitorare salute e plastica

A inquadrare la portata e le conseguenze di questa emergenza è un consorzio scientifico composto dal Boston College, dall’Università di Heidelberg, dal Centre Scientifique de Monaco e dalla Fondazione Minderoo. Nel 2024, queste istituzioni hanno dato vita a un tavolo con la prestigiosa rivista scientifica The Lancet, lanciando ufficialmente il Lancet Countdown on Health and Plastics, un sistema di monitoraggio globale indipendente.

L’obiettivo è chiaro: raccogliere dati, misurare l’esposizione alla plastica e tracciare i progressi (o i ritardi) nella riduzione dei rischi per la salute e l’ambiente. Il quadro che emerge è preoccupante e, in alcuni aspetti, già tragico.


Plastica e salute: una minaccia silenziosa

Il costo dell’inquinamento da plastica non è soltanto ambientale, ma sempre più sanitario ed economico. Le sostanze chimiche contenute nella plastica – più di 16.000 secondo i dati del consorzio – sono ormai ovunque: nel cibo, nell’aria, nell’acqua e perfino nei corpi umani.

I ricercatori documentano un aumento di patologie gravi associate all’esposizione alla plastica: aborti spontanei, nascite premature, malformazioni congenite, disturbi neurologici dello sviluppo e forme di cancro infantile. Le microplastiche e nanoplastiche (MNP) sono state individuate in diversi tessuti umani – sangue, cervello, latte materno, fegato, cuore – inclusi feti e neonati.

Non si tratta più, quindi, di una contaminazione ambientale “esterna”, ma di una vera e propria infiltrazione sistemica. “Ogni fase della vita della plastica – spiegano gli esperti – comporta rischi: dalla produzione al riciclo, fino allo smaltimento”.


Un peso economico occulto: 1.500 miliardi di dollari all’anno

Il danno economico associato all’impatto sanitario della plastica è stimato in circa 1.500 miliardi di dollari ogni anno. Negli Stati Uniti, i costi legati alle patologie causate da alcune sostanze chimiche plastificanti superano i 675 miliardi. Questi costi, nella maggior parte dei casi, sono “scaricati” sulle finanze pubbliche e sui cittadini, mentre le industrie produttrici esternalizzano le conseguenze della loro attività.

Questo modello economico – profitto privato, danno collettivo – è uno degli aspetti che la comunità scientifica sta cercando di mettere in discussione, chiedendo una maggiore responsabilizzazione delle aziende e l’introduzione di regolamentazioni più severe.


Le fasce vulnerabili pagano il prezzo più alto

L’impatto della plastica non è distribuito in modo equo. Le popolazioni a basso reddito, spesso residenti nei Paesi in via di sviluppo o in aree marginali, sono le più esposte. In particolare, le categorie professionali legate al trattamento dei rifiuti – sia in forma regolare che informale – risultano tra le più vulnerabili.

Gli operatori della raccolta informale lavorano in condizioni estremamente precarie: discariche a cielo aperto, spesso in fiamme, assenza di protezioni, esposizione a materiali contaminati da pesticidi, metalli pesanti, solventi e residui farmaceutici. I loro insediamenti abitativi si trovano a ridosso delle discariche stesse, esponendo anche bambini e famiglie a un ambiente tossico e pericoloso.

Le conseguenze? Ustioni, traumi, patologie respiratorie, malattie croniche, aborti spontanei e tumori. Anche nei contesti “formali”, i lavoratori del settore sono comunque a rischio, sebbene in misura minore grazie all’applicazione di standard di sicurezza.


La combustione dei rifiuti: un pericolo spesso ignorato

Un’altra pratica altamente dannosa, diffusa soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito, è la combustione a cielo aperto dei rifiuti plastici. Questa tecnica libera nell’aria sostanze estremamente tossiche, contribuendo all’aumento di patologie respiratorie, cardiovascolari e oncologiche, oltre a inquinare su larga scala il suolo e le falde acquifere.

Nel 2020, la sola produzione di plastica ha generato 2,45 miliardi di tonnellate di CO₂, pari al 5% delle emissioni industriali globali. Senza un cambiamento radicale, queste emissioni potrebbero triplicare entro il 2050, aggravando la crisi climatica e innescando un circolo vizioso: temperature più alte accelerano il degrado della plastica, che a sua volta rilascia nuove microplastiche, sostanze tossiche e gas serra nell’ambiente.


Sovvenzioni pubbliche alle fonti del problema

Nonostante l’urgenza della crisi, molti governi continuano a sovvenzionare l’industria della plastica. Secondo i dati del consorzio scientifico, nel 2024 gli Stati Uniti hanno stanziato 43 miliardi di dollari in sussidi per l’estrazione di materie prime fossili e la produzione di polimeri. L’Arabia Saudita ha destinato 38 miliardi allo stesso scopo.

Un paradosso evidente: mentre si discute di sostenibilità e transizione ecologica, risorse pubbliche finanziano le stesse attività che alimentano l’inquinamento globale.


Verso il Trattato globale sulla plastica: una sfida per il futuro

La speranza ora è affidata al Trattato Globale sulla Plastica, un accordo giuridicamente vincolante promosso dalle Nazioni Unite per affrontare l’intero ciclo di vita della plastica: dalla produzione al consumo, fino allo smaltimento.

La sessione finale dei negoziati si svolgerà dal 5 al 14 agosto a Ginevra. L’obiettivo è definire un quadro normativo universale che imponga standard chiari e misure efficaci per la riduzione della produzione, il miglioramento del riciclo e la protezione della salute pubblica.

Gli esperti sottolineano come esempi positivi non manchino: interventi legislativi efficaci contro l’inquinamento atmosferico e il piombo hanno dimostrato che è possibile ottenere risultati concreti quando la scienza guida le decisioni politiche.

Il punto chiave, ribadiscono i promotori del Lancet Countdown, è considerare la plastica non solo come una questione ambientale, ma anche come un’emergenza sanitaria globale. Il riconoscimento del legame diretto tra plastica e salute, in particolare quella dei bambini, può rappresentare un potente catalizzatore per il cambiamento.


Conclusione: la necessità di un’azione globale

Il riciclo da solo non può risolvere una crisi così estesa. Servono azioni strutturali che affrontino l’intero ciclo produttivo, con una regolamentazione più rigida, una drastica riduzione delle plastiche monouso, investimenti in alternative sostenibili e una responsabilizzazione concreta delle imprese.

Il tempo delle parole è finito. Se non si agirà in modo deciso e coordinato, il 2060 rischia di consegnarci un mondo sommerso dalla plastica e incapace di garantire salute e benessere alle future generazioni.


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