Nuoro. L’odissea di una malata cronica: “Buttata in barella per 9 ore, mi hanno dato i referti di un settantenne”
NUORO – La carenza di personale medico e sanitario nel Nuorese e non solo continua a generare storie di ordinaria disperazione, trasformando l’accesso alle cure in un vero e proprio calvario. Mentre la politica promette riforme e i comitati cittadini protestano senza sosta, a pagare il prezzo più alto è il paziente, spesso lasciato solo nel proprio dolore. L’ultima denuncia arriva dal Pronto Soccorso dell’Ospedale San Francesco di Nuoro, e racconta l’esperienza traumatica di una giovane donna.
“Antonia” (nome di fantasia) 25 anni, affetta da una malattia cronica e incurabile, ha vissuto un’autentica odissea sanitaria lo scorso fine settimana. L’emergenza è scattata in serata, con i sintomi della patologia – nausea e crampi allo stomaco – che si sono manifestati in modo violento.
LA GUARDIA MEDICA LONTANA – La prima difficoltà è stata raggiungere la Guardia Medica. “L’unica disponibile era molto lontana dal mio paese” racconta Antonia, costretta a un viaggio di diversi chilometri, “sopportando dolori atroci”. L’accoglienza non è stata delle migliori: dopo mezz’ora di domande ritenute “insensate” dalla giovane, che era “piegata in due sulla sedia piangendo”, le è stata somministrata una puntura di Voltaren e Plasil e viene dimessa. A completare il quadro, la richiesta di pagare un ticket “perché non ero di Nuoro” un fatto che, nonostante il dolore insopportabile, l’ha lasciata “scioccata”. Le iniezioni non hanno avuto l’effetto sperato. La mattina dopo, la situazione era peggiorata.
NOVE ORE DI BARELLA – Alle 14:00, la giovane viene trasportata in Pronto Soccorso con l’ambulanza de 118. Consapevole del proprio problema e della necessità di un “controllo ginecologico” non viene ascoltata. Sono seguiti prelievi complessi, che hanno lasciato segni evidenti sul suo braccio. Il vero dramma si consuma nell’attesa. Antonia viene “lasciata sulla barella per nove ore senza acqua, senza cibo e, soprattutto, senza assistenza alcuna” Le richieste di avere al suo fianco il fidanzato per un po’ di sostegno vengono respinte: “Non possiamo far entrare nessuno“. La giovane descrive la sala barelle come un luogo di desolazione e sofferenza: “Sembrava letteralmente di essere topi in trappola, tra anziani con dolori, una signora con il braccio rotto e il cancro, buttata lì senza controlli”. Alle 22:00, viene bruscamente invitata a lasciare la barella perché “serve per un altro paziente” ritrovandosi ad attende in sala, al freddo, ma almeno con la compagnia del fidanzato.
REFERTI SBAGLIATI – La visita vera e propria arriva alle 23:45. La diagnosi? racconta la ragazza è come una doccia fredda: “Non possiamo farti nulla se i dolori non ci sono più… si i dolori si sono attenuati nell’attesa ma nessuno ha tenuto conto che fossi una paziente fragile con una malattia cronica che si può aggravare…“. La giovane viene mandata a casa con un “omaggio” di Spasmex e Toradol.
L’epilogo è l’emblema del caos amministrativo e clinico. “Non mi hanno detto se le mie analisi erano normali,” e soprattutto le sono stati consegnati “i fogli di un signore di 70 anni” impedendo alla sua dottoressa di avere gli esiti urgenti. La sensazione è quella di essere stata liquidata: “Hanno preferito sbarazzarsi di me” – conclude Antonia, costretta ora a cercare specialisti privati per affrontare la sua problematica cronica: “Ero spaventata e confusa, avrei voluto parlare con un ginecologo per capire se in quelle ore la mia situazione si fosse aggravata”.
Questa storia, come tante altre, non vuole essere una sterile polemica. È innegabile il sacrificio e l’impegno dei pochi medici e infermieri che lavorano in condizioni estreme. Tuttavia, raccontare queste esperienze è necessario per mettere in luce le falle di un sistema sempre più esasperato, nella speranza che il giornalismo possa essere un veicolo di pressione per quel cambiamento e quelle riforme che, a oggi, restano solo promesse. I pazienti, i più vulnerabili, non possono più attendere.
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