Cultura

“Non può accadere nulla se non lo facciamo accadere collettivamente”: l’intervista agli Allo Darlin’

Credit: Jørgen Nordby

Dopo i fantastici concerti di reunion del 2023, finalmente gli Allo Darlin’ hanno annunciato altre date live per quest’autunno e, soprattutto, hanno pubblicato un nuovo singolo, intitolato “Tricky Questions“. In attesa di sapere quando potremo ascoltare altre novità nate dal ritorno del quartetto in studio di registrazione, il momento ci è sembrato perfetto per rivolgere loro una manciata di domande via mail. Avevamo pensato di rivolgerci alla band nel suo complesso, ma in realtà a rispondere è stata la sola Elizabeth Morris-Innset, voce e motore compositivo del gruppo. Le sue parole rappresentano un ottimo approfondimento su una serie di importanti aspetti: da cosa viene ispirata la scrittura delle canzoni, le varie tappe del processo di realizzazione delle stesse, l’importanza del contributo di ognuno dei membri nello sviluppo della cifra stilistica della band e lo spirito positivo con cui i quattro si approcciano a tutto ciò che fa parte del mondo della musica. Non manca nemmeno un giudizio lusinghiero sull’Italia, da una persona che ci ha vissuto sul serio e non ci è venuta solo in vacanza

Com’è stato tornare a scrivere canzoni insieme dopo una lunga pausa? E il processo di scrittura è stato diverso rispetto al passato? Magari prima scrivevate nella stessa stanza e ora avete dovuto lavorare “a distanza”?
In realtà non è stato così diverso da come è sempre stato: scrivo canzoni quando ho tempo e ispirazione, poi registro una demo molto grezza sul mio telefono e la mando agli altri ragazzi prima di registrarla insieme come band.
Credo che la differenza principale stavolta sia stata che le canzoni sono state scritte in momenti molto diversi tra loro, alcune anche a distanza di anni. Erano tutte lì, sotto forma di demo nelle note vocali del mio telefono, che aspettavano pazientemente di diventare qualcosa, e non sapevo nemmeno se sarebbe mai successo. Alla fine, un giorno le ho riascoltate tutte mentre ero a passeggio e ho deciso che erano abbastanza buone da diventare canzoni degli Allo Darlin’.

Uno dei punti di forza principali degli Allo Darlin’ è l’aspetto sonoro: l’interazione vivace tra gli strumenti, il ruolo fondamentale della ritmica, le armonie vocali, ecc. Questo elemento arriva sempre dopo la scrittura, oppure a volte è proprio il suono a dare la scintilla per costruire una canzone?
Questo arriva decisamente dopo la scrittura, quando arrangiamo le canzoni in studio. È lì che prendono davvero vita. A volte ho un’idea chiara di come dovrebbe essere il suono, ma in generale è la parte più collaborativa del processo, e tutti partecipano e contribuiscono alle diverse parti. È in quel momento che diventa davvero entusiasmante, per me.

I testi sono sempre molto importanti nelle vostre canzoni. Dal vostro comunicato stampa abbiamo saputo che la prima canzone pubblicata, “Tricky Questions”, è ispirata al periodo passato da Elizabeth a Firenze, come già era successo con alcuni brani del vostro terzo album, come “History Lessons” e, ovviamente, “Santa Maria Novella”. Ci sono altri brani nuovi ispirati a momenti specifici delle vostre vite?
Ah, certo! Credo di scrivere sempre pensando a un luogo o un evento specifico. Poi trovo semplicemente le parole per descrivere ciò che vedo nella mia mente. Aver vissuto in Italia mi ha dato così tanta ispirazione che ho scritto diverse canzoni su quel periodo molto speciale. Una delle cose che amo di più dell’Italia è che è senza tempo: sì, è moderna, ma al tempo stesso non cambia molto, almeno per qualcuno che viene da fuori, come me. Trovo rassicurante questo aspetto, in un periodo in cui, invece, tutto il resto cambia così tanto.

Tutti voi avete continuato a suonare musica anche durante la pausa degli Allo Darlin’, e se non sbaglio Elizabeth, Bill e Mikey hanno avuto anche ruoli da leader. Pensate che la musica che avete scritto e suonato in quel periodo abbia influenzato i nuovi brani degli Allo Darlin’ e magari dato loro una direzione diversa?
Credo che le esperienze che abbiamo vissuto da quando la band si è fermata abbiano influito molto sui nuovi brani, e parlo sia di esperienze personali, che musicali e professionali. Mike, ad esempio, è diventato un produttore davvero talentuoso, e le sue competenze ci sono state molto utili nelle nuove canzoni.

In alcune delle mie recenti interviste, diversi musicisti hanno raccontato quanto sia sempre più costoso e di difficile sostenibilità economica registrare musica in studi veri e propri, suonando tutti gli strumenti e prendendosi il tempo necessario. Avete avuto anche voi queste difficoltà? In generale, quanto è andato liscio il processo di registrazione?
Credo che ci piacerebbe sempre avere più tempo in studio, sembra sempre di fare un po’ tutto di corsa, ma mi chiedo se non sia un tipo di stress positivo, perché altrimenti forse non smetteremmo mai. Nel nostro caso, lo stress da tempistiche deriva dal fatto che viviamo tutti in paesi diversi, e abbiamo tutti lavori “veri” e impegni, quindi il tempo che possiamo prenderci per stare insieme è limitato. A meno che tu non sia un musicista a tempo pieno, dovrai sempre ricavare il tempo per la band dai ritagli di tempo libero. Ma ce l’abbiamo fatta, soprattutto grazie al fatto che Mike ha il suo studio, Big Jelly, e anche un ottimo setup di registrazione a casa, quindi anche dopo aver lasciato lo studio, abbiamo potuto continuare a lavorare a casa sua.

Ho sempre avuto la sensazione che gli Allo Darlin’ siano stati fondamentali per come si è evoluta la cosiddetta “scena indiepop”: prima di voi c’erano molta morbidezza e tranquillità, e dopo di voi si è vista molta più energia e intensità, con band come Spook School e Martha che sono diventate le più amate dopo il vostro scioglimento. Cosa ne pensate?
Non ci avevo mai pensato, in realtà. Ricordo che, nei primi tempi della band, volevo personalmente essere attiva sul palco, trovavo molto noioso quando chi si esibiva non si muoveva, non ballava, non si lasciava coinvolgere nella performance. Quindi cercavo di fare proprio quello, di metterci tutta me stessa. E anche Bill si è fatto prendere. E la nostra musica è venuta fuori in quel modo, non per forza intenzionalmente, ma in particolare per via del modo di suonare di Paul, abbiamo capito che potevamo scatenarci e che era molto divertente. Forse in parte è stata anche una reazione al fatto che ci chiamavano “twee” – volevamo dimostrare che potevamo essere energici e scatenati quanto qualunque altra band indie.

La musica DIY, non solo le band ma anche le etichette, le distro, i locali, i festival, sta vivendo un bel momento, almeno a giudicare da quanti album vengono pubblicati e da quanti concerti si fanno. Ci sono anche festival e all-dayer di musica in UK ed Europa, come a Cambridge, Preston, Madrid, Colonia (dove avete suonato) e con l’Indiefjord in Norvegia. L’unica cosa che manca è un nuovo Indietracks, ma magari qualcuno avrà il coraggio di provarci. Sono troppo ottimista o c’è una speranza reale per un futuro più luminoso?
C’è sempre speranza per un futuro luminoso! Altrimenti, che senso avrebbe? Non capisco proprio il senso del pessimismo. Sono sicura che qualcosa come l’Indietracks succederà di nuovo, perché dalla nostra esperienza degli ultimi anni, c’è un pubblico in crescita per questo tipo di musica, e c’è un bisogno crescente di esperienze collettive positive. Dobbiamo solo uscire, supportare le band, andare ai concerti e creare situazioni. Non può accadere nulla se non lo facciamo accadere collettivamente.


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