Società

Non essere cattivo, dieci anni dopo: come Borghi e Marinelli hanno trasformato l’ultimo film di Caligari in un cult del cinema italiano

Il regista Claudio Caligari.

Il regista Claudio Caligari.

Una storia degli anni Novanta

Quella di Non essere cattivo è una storia semplice: Vittorio e Cesare crescono insieme come fossero fratelli. Vivono di espedienti tra spaccio, truffe, furtarelli e occupazioni abusive. Lavorare è quasi un disonore, perché Caligari sa bene che il capitalismo ha già calato la maschera, e i suoi protagonisti si credono più furbi del sistema. Ma quando mancano i soldi subentrano la paranoia, la violenza e l’autodistruzione. Sono gli anni del boom dell’eroina, dell’AIDS che continua a chiedere il conto, degli eccessi disperati. E se in borgata provi solo a immaginare un futuro alternativo, c’è sempre chi ti risponde: «E ’ndo annamo?». Con l’ultimo tassello della sua poetica, Caligari ci regala una storia che appartiene a tutti: la tragedia della vita che va avanti e divide chi è cresciuto insieme. Un fratello cambia strada, l’altro resta indietro. Scegliere se salvarsi o provare a salvare l’altro è un bivio crudele.

Nel 2015 Non essere cattivo è ovunque: Venezia, David di Donatello, Nastri d’argento, Ciak e Globo d’oro. Caligari se ne va e il film esplode insieme al retrogusto doloroso di un addio, con la consapevolezza che quello è davvero il suo ultimo sguardo sul mondo. Ma per capire il fenomeno bisogna anche fare un salto indietro e dimenticare chi sono oggi, i due protagonisti. Alessandro Borghi, che ai tempi aveva alle spalle un decennio di partecipazioni nella serialità e qualche ruolo al cinema, e Luca Marinelli, diviso tra fiction tv e i primi bellissimi ruoli sul grande schermo – il debutto con La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, La grande bellezza di Sorrentino e Tutti i santi giorni di Virzì, che gli valse persino la candidatura ai David come miglior protagonista – ma che si muoveva ancora nel parterre degli esordienti di nicchia. Caligari non è solo il primo regista a mettere insieme il duo, aprendo a entrambi le porte di una popolarità fuori dal comune in Italia: è il primo a intercettare crepe, tensioni e tic delle rispettive personalità e sfruttarle per dar vita a due interpretazioni memorabili.

La Banda Caligari

Così spoglia Borghi della sua durezza e ne fa l’elemento più sensibile del film, un concentrato di impotenza, speranza e disperazione. È anche grazie a quella versione di Borghi, se tutti noi saremo per sempre Vittorio. Poi scova in Marinelli il seme d’una follia eccentrica e di una comicità che intenerisce. In mano gli mette un fucile scarico e in testa un cappello a bombetta. Poi lo accompagna verso la morte, sulle note di By My Lover di La Bouche: non è un tossicodipendente che spaventa il pubblico, è un eroe tragico a metà tra Chaplin e il Joker. Accanto a loro, un universo di personaggi universali: Silvia D’Amico con un’indimenticabile Pretty Woman di Ostia, Roberta Mattei solida e potente come l’amore che ti salva, Elisabetta De Vito con il dolore di una madre nelle ossa, e perfino Emanuela Fanelli al suo primissimo ruolo. Tutti insieme, in una grandiosa scommessa di casting (sulla scia di quella già vinta con Mastandrea, Giallini e Tirabassi ne L’odore della notte), compongono il ritratto di un’umanità disgraziata e commovente, la bellezza oscena di fine Novecento. Dieci anni dopo, se possibile, ancora più forte. Perché mentre il mondo cambia, la borgata resta fedele a sé stessa.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »