Non è un’amicizia, è un patto per l’Italia che conta – Il Tempo

La scelta di Giorgia Meloni è precisa: stare sulle cose concrete e tenersi alla larga dalle dichiarazioni di principio buone per tutte le stagioni (per altro non facili con la Turchia di oggi). Quindi l’incontro di ieri a Roma con Recep Tayyip Erdogan si mostra per quello che è: tassello di una strategia ormai palese, contare di più puntando interessi tangibili e misurabili. Migranti, difesa ed energia sono i tre pilastri dell’intesa costruita a Palazzo Chigi. Sul primo fronte, Roma e Ankara si parlano senza giri di parole: contenere i flussi, rafforzare i controlli, sostenere infrastrutture nei Paesi d’origine. La Turchia offre il suo ruolo di «controllore», l’Italia garantisce sostegno politico ed economico. Non è un’amicizia, è un patto: Ankara resta il principale snodo tra l’instabilità asiatica e l’Europa, e senza la collaborazione turca nessuna politica migratoria europea può funzionare davvero (come sa molto bene la Germania). Ancora più strategico è il dossier della difesa. Leonardo firma un accordo con Baykar, il colosso dei droni turchi, per avviare programmi comuni di sviluppo e produzione. La partita è precisa (e grossa): rafforzare la capacità tecnologica italiana, ridurre la dipendenza da progetti lenti e costosi dell’industria comunitaria, costruire una vera autonomia strategica. Un passo deciso, che rompe le liturgie delle lunghe attese e punta dritto all’efficienza (e che si collega, attenzione, al progetto Gcap, il caccia di sesta generazione, in fase di sviluppo con UK e Giappone, perché quel velivolo opererà con molti droni collegati). Sul fronte energetico, la posta in gioco è altrettanto cruciale. Il gas che scorre attraverso il Tap passa per la Turchia; quindi, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti è una priorità assoluta. Senza Ankara in partita, l’autonomia energetica italiana rischierebbe di restare uno slogan senza futuro. Ma il vero nodo di questa nuova stagione nei rapporti con Ankara è la Nato. Mantenere la Turchia all’interno del perimetro dell’Alleanza Atlantica non è un dettaglio, è una necessità strategica per l’Italia e per tutto l’Occidente. Erdogan è un interlocutore difficile, a volte spigoloso, ma fondamentale: Roma lo ha capito prima di altri e agisce di conseguenza. In un Mediterraneo sempre più instabile, ogni incertezza si paga a caro prezzo. E se l’Italia vuole contare in questo teatro (leggi alla voce Libia) dobbiamo parlare con Erdogan senza sudditanza e con reciproco interesse, anche perché da quelle parti c’è l’Eni ma ci sono anche i russi. Naturalmente, la Turchia resta un Paese attraversato da forti tensioni interne: il sistema di potere è in fibrillazione, gli arresti eccellenti di queste settimane lo dimostrano. Lavorare con Ankara senza farsi illusioni e senza cedere a sentimentalismi di maniera: le relazioni internazionali non sono un tè a metà pomeriggio da Babington (Piazza di Spagna). Solo chi è in malafede non lo ammette.
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