Economia

Non è ancora tempo di recessione negli Usa: le prospettive tra dazi, crescita e inflazione


La prima metà del 2025 è stata caratterizzata da forti oscillazioni sui mercati finanziari, legate soprattutto al clima di incertezza generato dall’introduzione di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump all’inizio di aprile, quando l’S&P 500 ha visto un crollo complessivo del 19% rispetto al suo picco, alimentando le voci di un imminente ingresso degli Stati Uniti in recessione.

Una volta assorbito lo shock iniziale, però, con l’inizio dei negoziati l’allarme è rientrato e i listini azionari hanno completamente recuperato il crollo post-Liberation Day, mentre gli spread delle obbligazioni societarie high yield nelle ultime settimane sono arrivati a comprimersi al livello più basso dell’ultimo anno. Sul fronte dell’inflazione, negli ultimi tre mesi gli indici core hanno registrato un deciso raffreddamento, con la lettura mensile del PCE core che ha toccato una media dello 0,14%, il dato più basso dell’attuale ciclo.

Le sorprese in materia di politica commerciale e fiscale, con i timori di un’escalation di licenziamenti e tagli al bilancio federale, hanno portato all’indebolimento del dollaro e a un rapido deterioramento delle aspettative di crescita dell’economia Usa, ma, alla fine, il Dipartimento dell’Efficienza Governativa (DOGE) si è concretizzato in soli $9,4 miliardi di tagli presentati al Congresso, pari allo 0,14% dell’intera spesa federale del 2024. Anche il numero dei licenziamenti dei dipendenti pubblici è calato da marzo in poi e la spesa federale per il 2025 sembra addirittura prossima a superare di un quarto quella dello scorso anno. Nel corso del primo trimestre, se il Pil nominale ha subito una contrazione a causa del calo delle importazioni, il Pil sottostante ha invece mantenuto un ritmo di crescita positivo, al netto delle componenti più volatili come commercio e spesa pubblica. Senza ignorare i rischi che l’introduzione di nuovi dazi implica per l’economia, di fatto tassando famiglie e imprese, crediamo che gli Stati Uniti siano ancora in grado di evitare una recessione, grazie soprattutto a un mercato del lavoro in salute, in grado di sostenere i consumi. Il tasso di disoccupazione, infatti, è rimasto stabile al 4,2% per i primi mesi dell’anno, per poi calare al 4,1% in giugno, ma, al tempo stesso, la crescita dei posti di lavoro ha subito una battuta d’arresto. Questo perché la contrazione della forza lavoro, in parte dovuta alle restrizioni all’immigrazione e ai decreti di espulsione, ha contribuito alla stabilità del tasso di disoccupazione, nonostante il leggero rallentamento delle assunzioni.

Simili periodi sono, a dire il vero, rari, dal momento che la disoccupazione tende a diminuire lentamente o ad aumentare vertiginosamente. Crediamo che i rischi al ribasso per la crescita dell’occupazione supereranno la pressione al rialzo derivante dalla contrazione della forza lavoro, portando a un graduale aumento del tasso di disoccupazione nei prossimi mesi. Anche perché le revisioni al ribasso dei dati passati suggeriscono un ulteriore frenata delle assunzioni in futuro, mentre l’aumento delle richieste continuative di sussidi di disoccupazione indica che i lavoratori necessitano di più tempo per trovare un nuovo impiego.

Nella prima metà dell’anno, la Federal Reserve ha mantenuto una politica monetaria restrittiva, con i tassi sui Fed Funds fermi nell’intervallo del 4,25-4,50%, complici le minacce tariffarie e la solidità del mercato del lavoro Usa, anche se il calo delle aspettative di crescita ha portato a una riduzione dei rendimenti dei Treasury a 2 e 10 anni. Nel frattempo, in Eurozona il calo dell’inflazione dei servizi registrato lo scorso maggio ha consentito alla Bce di effettuare tagli per altri 100 punti base nel corso del 2025, così come previsto all’inizio dell’anno. Ad oggi, con quattro riunioni ancora in calendario, riteniamo probabile che la Fed possa ridurre il tasso di riferimento di 75 punti base entro dicembre, contro i 100 punti base di tagli prezzati all’inizio dell’anno, nonostante, secondo l’ultima serie di proiezioni economiche (Sep) di giugno, la mediana dei policymaker preveda solo due tagli da 25 punti base entro fine dicembre. Infatti, se l’inflazione dovesse rimanere contenuta o il tasso di disoccupazione dovesse superare il 4,3%, la Fed potrebbe riprendere a tagliare i tassi di interesse.

La domanda degli investitori per il premio a termine per detenere titoli del Tesoro statunitensi è aumentata a causa delle preoccupazioni fiscali e, con il deficit del bilancio federale Usa che potrebbe ancora attestarsi intorno al 6-7% del Pil nominale per il 2025 e il 2026, il premio a termine dovrebbe rimanere elevato. Tuttavia, le aspettative di inflazione e il tasso sui Fed Funds giocano un ruolo molto più importante per i rendimenti rispetto al premio a termine. Pertanto, anche qualora quest’ultimo si mantenesse elevato, prevediamo comunque un calo del rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni, grazie al moderarsi dei prezzi e al taglio dei tassi di interesse. In generale, una Fed accomodante dovrebbe portare a un indebolimento del dollaro, sempre che gli Stati Uniti riescano ad evitare una recessione, e, dal momento che altre Banche Centrali come Bce e Bank of Canada si stanno avvicinando alla fine del ciclo di allentamento, per la seconda metà dell’anno siamo inclini a ritenere che gli Usa procederanno a tagli più aggressivi, portando a un ulteriore indebolimento del Biglietto Verde, anche se non pensiamo sia in atto una fuga di capitali e, al momento, non vi sono alternative valide al mercato dei titoli del Tesoro statunitense.

In conclusione, il contenimento dell’inflazione core entro la fine dell’anno appare un obiettivo ancora raggiungibile: anche se i prezzi dei beni di consumo dovessero aumentare nel corso dell’estate, come effetto ritardato dei nuovi dazi, il calo dei servizi – che rivestono un peso maggiore all’interno dell’Indice dei Prezzi al Consumo – dovrebbe riuscire a bilanciarli. Fintanto che la crescita occupazionale rimarrà positiva, poi, l’ingresso degli Usa in recessione non sembra plausibile. Crediamo che il trend registrato nel primo semestre, con consumi in rallentamento ma comunque solidi, sia destinato a proseguire per il resto dell’anno. Una nuova accelerazione non sembra al momento probabile: con il Pil reale del secondo trimestre al 2,6% su base annua, affinché si possa superare il 2,5% su base annua nel 2025, la crescita dovrebbe aumentare a un tasso annuo del 4% nel terzo e quarto trimestre, un ritmo a cui non si assiste dai tempi della ripresa post-Covid nel 2021.

*Chief Economist di Payden & Rygel


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