Nine Inch Nails – Tron: Ares (Original Motion Picture Soundtrack)
Dopo la leggendaria colonna sonora dei Daft Punk per “Tron: Legacy”, la sfida per il nuovo capitolo non poteva che ricadere su un nome capace di portare il peso dell’attesa e di ridefinire i confini tra immagine e suono. La scelta dei Nine Inch Nails è stata inevitabile, quasi naturale: nessun altro avrebbe potuto dar voce ad un mondo che è, al tempo stesso, carne ed acciaio, memoria ed algoritmo. Con le loro trame oscure, incalzanti ed industriali, Trent Reznor e Atticus Ross hanno costruito un universo musicale che pulsa minaccia, che brucia di tormento, che vibra come un circuito in corto, sospeso tra il collasso e la rinascita.

Qui l’elemento umano e quello meccanico non si intrecciano in armonia, ma si scontrano, collidono, si feriscono a vicenda. Da un lato, i suoni diluiti, quasi contemplativi, che richiamano un’umanità smarrita, alla ricerca di sé stessa, in un labirinto di specchi digitali; dall’altro lato, le trame massicce e vibranti, martellanti come fabbriche invisibili, come catene di montaggio che non conoscono sonno. Sopra ogni cosa incombe un sole elettronico, artificiale, automatizzato, che non scalda, ma brucia, che non illumina, ma acceca, e che scandisce il tempo delle nostre giornate con la precisione implacabile di uno spietato metronomo cosmico.
Sul palco, durante il loro tour mondiale, i Nine Inch Nails hanno tradotto queste tensioni in esibizioni profonde, emotive e crudeli: un teatro umano in cui l’anima si mostra nuda, privata delle illusioni zuccherate e dei fumi tossici della sua comoda controparte virtuale. La loro musica è insieme ferita e cura, abisso e risalita, un invito a seguirne una scia di sentimenti viscerali e a perdersi nelle loro ombre incandescenti, per ritrovare, forse, una preziosa scintilla di verità.
La colonna sonora di “Tron: Ares” diventa così una lente deformante puntata sull’io nascosto: ne smonta le barriere, ne dilata le crepe, lo travolge in un magma di synth atmosferici tormentati e di tessiture inquietanti. Non c’è spazio per facili aperture melodiche, per comode consolazioni, perché le nostre vite, spesso, non offrono davvero vie di fuga. Ma vengono schiacciate su una dimensione atonale, crudele, senza alternative e ci costringono a fare i conti con la brutalità del presente. Una dimensione sgradevole, corrosiva, che, tuttavia, può essere disintegrata dall’interno, proprio attraverso l’arte e la musica.
E allora la forza dei Nine Inch Nails non è solo distruzione, ma è anche resurrezione: un grido che ci spinge a recuperare la nostra improvvisazione, i nostri scatti vitali, i fuochi eterni dei sentimenti. La loro colonna sonora apre squarci su pianeti lontani, su orizzonti altri, su prospettive nuove, dove poter ricostruire le nostre identità lacerate e liberarci dal torpore quotidiano. Perché i binari che ci vengono imposti – lavoro, casa, ansie, dubbi, paure, rate da pagare – non sono che i circuiti di una gabbia. Ci trasformano in organismi statici, in automi travestiti da umani, in pagine bianche che attendono di essere riscritte.
Ed è qui che “Tron: Ares” diventa più di una colonna sonora: è un monito, un avvertimento, una visione. Ci ricorda che il futuro non è soltanto fatto di luci al neon e di realtà parallele, ma del rischio concreto che l’uomo, inseguendo la perfezione della macchina e della sua IA, finisca per diventare esso stesso macchina. Un robot di carne. Una memoria artificiale che crede ancora di avere un’anima.
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