Società

Netflix in Italia compie 10 anni: come ci ha cambiati?

Questo articolo sui dieci anni di Netflix in Italia è pubblicato sul numero 44 di Vanity Fair in edicola fino al 28 ottobre 2025.

Se i nostri gusti culturali funzionassero come la geologia, potremmo davvero pensare al tempo che abbiamo passato insieme a Netflix come a una nuova era geologica, come l’Olocene, o l’Antropocene, un tempo in cui la forma stessa del nostro mondo mentale è cambiata.

Quando avviene il passaggio da un’era all’altra, i geologi cercano il luogo dove è visibile il transito e ci piantano un chiodo d’oro. Per gli scopi di questa storia geologica del gusto contemporaneo, noi potremmo piazzare il chiodo d’oro degli italiani il 22 ottobre del 2015, esattamente dieci anni fa: dopo avere a lungo sentito parlare di come Netflix stava cambiando i consumi negli Stati Uniti, anche noi ci munimmo di nome utente, password, account ed entrammo nell’era del binge-watching. La lunga stagione inaugurata col monoscopio e il telegiornale finiva così, col celebre ta-dum del suo jingle.

Nel 1994 il critico letterario Harold Bloom codificò l’idea del canone occidentale, le opere e gli autori che rappresentavano le fondamenta, le colonne e l’architrave della letteratura. Era una questione di estetica, ma anche di impatto. C’entrava il gusto, ma anche il potere. E nessuna istituzione culturale nella nostra epoca ha saputo combinare gusto e potere quanto Netflix, il servizio di noleggio dvd che a un certo punto aveva deciso di farsi creatore di immaginari collettivi.

Netflix ha definito le abitudini di consumo, il linguaggio, l’estetica, i temi, i nostri interessi. Ci siamo iscritti, cancellati, iscritti di nuovo, lo abbiamo condiviso con gli affetti stretti e meno stretti, ne abbiamo fatto un affare di famiglia e di coppia, un’infrastruttura sociale, ci abbiamo costruito intorno serate, rituali, odi, passioni. Netflix è un bene di consumo, è una multinazionale che produce contenuti video, ma è soprattutto un pezzo fondamentale dell’esperienza dello stare al mondo occidentale, esattamente come la letteratura nel canone di Bloom. Ta-dum.

Il canone Netflix funziona in modo molto diverso da quello codificato da Bloom sulla letteratura. Come aveva spiegato al Guardian l’ex direttore della personalizzazione di Netflix, Todd Yellin, «il sistema delle raccomandazioni dei contenuti è basato su quello che ti piace davvero, non su quello che dici agli altri che ti piace». Di fronte a Netflix siamo molto più nudi di quanto siamo mai stati di fronte a Philip Roth o Virginia Woolf. Il gusto è diventato una frontiera più interiore che sociale. La piattaforma sa quanto guardiamo, quando interrompiamo, cosa ci fa distrarre, quanto tempo ci mettiamo a scegliere, a cosa torniamo, a cosa non vogliamo mai tornare.

Ogni click e ogni esitazione sono un dato, ogni dato compone la scelta di cosa produrre e cosa mostrarci. Le prime produzioni originali Netflix furono House of Cards, e un ambizioso film sulle guerre africane, Beasts of no Nation. Sembra una vita fa, era una vita fa. Da allora è stato un influenzarsi a vicenda tra noi e la piattaforma, nell’epoca degli algoritmi c’è una reciprocità quasi intima: i contenuti sono definiti dai dati, quei dati siamo noi.


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