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“Nessuno sa dove sia”. È mistero sulle sorti dell’uranio arricchito dall’Iran

In attesa di capire se e quanto reggerà il cessate il fuoco tra Israele e Iran mediato da Stati Uniti e Qatar, c’è un’altra grande incognita che incombe adesso in Medio Oriente. Si tratta delle sorti del programma nucleare iraniano che secondo il presidente americano Donald Trump sarebbe stato completamente distrutto dai B-2 nel corso dell’operazione Martello di Mezzanotte ma che secondo alcune voci più pessimistiche potrebbe invece essere stato solo in parte danneggiato e potrebbe proseguire se non accelerare allo scopo di dotare di armi atomiche il regime degli ayatollah.

Anche all’interno dell’amministrazione repubblicana vi sarebbero dubbi sulla questione, in particolare sulle sorti dell’uranio che Teheran è riuscito ad arricchire prima della campagna di bombardamenti avviata dagli israeliani il 13 giugno scorso. Ad esprimere per primo qualche velato timore sulle scorte di uranio sufficienti a produrre nove o dieci armi atomiche è stato il vice presidente J.D. Vance. Intervistato due giorni fa dall’emittente Abc News mentre il mondo aveva da poco appreso dei missili e delle bunker buster sganciate sugli impianti di Fordow, Natanz e Isfahan, Vance ha dichiarato che “lavoreremo nelle prossime settimane per assicurarci di fare qualcosa su quel combustibile“.

Il numero due della Casa Bianca ha subito precisato che il potenziale di trasformare l’uranio arricchito in un’arma di distruzione di massa è stato comunque ridimensionato in quanto Teheran non disporrebbe più delle attrezzatture necessarie per raggiungere tale obiettivo. L’ammissione implicita da parte dell’amministrazione repubblicana di non avere contezza su aspetti importanti del programma nucleare di Teheran, confermata di fatto anche dal segretario alla difesa Pete Hegseth e dal capo di Stato Maggiore congiunto Dan Caine nel corso di una conferenza stampa al Pentagono, trova però riscontri nelle dichiarazioni del capo del direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, Rafael Grossi, il quale ha affermato che il regime degli ayatollah avrebbe spostato le scorte di uranio prima degli attacchi.

Stando a quanto riferito da Grossi, la sua squadra di ispettori dell’Aiea ha visto l’uranio circa una settimana prima degli attacchi israeliani e ha sostenuto che la scorta era conservata in contenitori speciali abbastanza piccoli da entrare nei bagagliai di una decina di auto. Lunghe file di camion in prossimità del sito inaccessibile sono state riprese in immagini satellitari scattate alla vigilia dei raid americani alimentando i sospetti sugli spostamenti del combustibile. La messa in sicurezza dell’uranio dall’impianto sotterraneo di Fordow, che sarebbe avvenuta negli scorsi giorni, viene inoltre suggerita da due funzionari israeliani anonimi a conoscenza di informazioni di intelligence citati dal New York Times.

In particolare, Teheran avrebbe spostato circa 400 chilogrammi di uranio arricchito al 60%. “Dobbiamo supporre che l’Iran abbia fatto tutto il possibile per nascondere in ogni sorta di luogo segreto le scorte di combustibile, ha affermato l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett a Fox News. La teoria dell’evacuazione preventiva viene accreditata da un’analista di Iran al Financial Times il quale sostiene che sarebe stato molto “ingenuo” da parte del regime teocratico mantenere le scorte nei siti nel mirino di Tel Aviv e Washington.

Richard Nephew, funzionario Usa che ha lavorato sull’Iran al tempo delle presidenze di Obama e di Biden ritiene che “sulla base di quello che abbiamo potuto capire fino a ora” non sappiamo dove si trovi questo materiale.

Non abbiamo alcun elemento reale per sostenere che abbiamo le capacità per poterlo trovare presto“, prosegue Nephew che poi aggiunge: “se hanno messo in piedi una linea per la conversione dell’uranio e se fossero stati in grado di arricchirlo al 90 per cento a Fordow prima dell’attacco, e hanno avuto otto o nove giorni, avrebbero avuto abbastanza tempo, potenzialmente, per (costruire) due bombe“. Parole che adesso gettano un’ombra minacciosa sulla sicurezza internazionale.


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