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Nessuno è perfetto, tranne l’imperfezione

Il Quotidiano del Sud
Nessuno è perfetto, tranne l’imperfezione

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L’imperfezione è un valore intrinseco dell’esperienza umana, alimenta la crescita personale e, al contempo, arricchisce e migliora la società


Non tutte le ciambelle riescono col buco! Un noto proverbio, spesso evocato quasi in maniera consolatoria, per giustificare un fallimento personale, o una vittoria a metà. Viviamo nell’era del tutto e subito, della gratificazione istantanea, e pensiamo che ogni risultato che ci prefissiamo sia dovuto e possibile, sentendoci spesso disarmati rispetto ad un piccolo neo che colora la nostra vita. E nel mentre, gli altri si rivelano subito spietati e impietosi nei confronti del nostro fallimento.
Nel mondo frenetico e perfezionista di oggi, ci troviamo spesso sopraffatti da aspettative irrealistiche, ansiosi di raggiungere la perfezione a ogni costo. Conseguentemente, l’imperfezione diventa una vera e propria sconfitta  e ci fa sprofondare nell’oblio della tristezza e del senso di colpa. Tutto questo senza considerare la naturale e fisiologica variabile dell’imperfezione e della fallibilità umana.

L’imperfezione non è una sconfitta. Al contrario, accettarla vuol dire liberarsi finalmente di quei pesi inutili e dannosi imposti da una società avida, che non hanno nulla a che vedere con i nostri reali interessi, obiettivi e ideali. Accettare l’imperfezione vuol dire semplicemente tornare a respirare e  vivere la vita in maniera totalizzante, senza timori.

Tuttavia, più di qualcuno si vota a un concetto molto in voga al momento sui canali digitali: superare le imperfezioni, e diventare la migliore versione di sé stessi. Ma quale sarebbe la miglior versione di noi stessi? 
Una educazione culturale durata secoli, ci porterebbe a rispondere a questa domanda identificando immediatamente la perfezione con quanto appaga il nostro gusto estetico, con  ciò che giudichiamo gradevole, armonioso, proporzionato, equilibrato e simmetrico. Tutte qualità che tendono a suggerire un piacere estetico negli osservatori. Insomma, con ciò che suscita in noi sensazioni piacevoli, e che ci rasserena. Così ci ha insegnato la cultura classica: l’imperfezione non è bellezza.

Tradizionalmente, nella mentalità greca l’armonia identificava la perfezione e l’equilibrio. Nella rappresentazione classica del nudo risiedeva anche un’ispirazione essenzialmente religiosa: si diceva che, l’immagine di un corpo perfetto era certamente la più gradita agli dèi, perché in quella essi si riconoscevano.  Per l’effetto, l’imperfezione era emblema di disarmonia, in quanto risultato di una mancanza, di una alterazione o addirittura di una deviazione. Ma, è anche vero che se svincoliamo l’idea di bellezza dall’estetica classicistica, queste categorie possono facilmente saltare.

Oggi, la perfezione non si limita, infatti, a queste caratteristiche canoniche; è un’entità dinamica e in continua evoluzione, influenzata da fattori sociali, storici e personali. Proprio in questi termini, le imperfezioni paradossalmente possono giocare un ruolo cruciale  nella lettura delle dinamiche sociali, nella misura in cui sono capaci di aggiungere carattere, autenticità e profondità, trasformando un oggetto, un’opera d’arte o una persona in qualcosa di unico e irripetibile. 
L’elenco delle imperfezioni della vita è infinito.

Nella quotidianità come nella letteratura, l’imperfezione può essere rappresentata in molti modi: attraverso personaggi fallibili, situazioni complesse prive di facili soluzioni, o ambientazioni che riflettono caos e disordine. Tutti aspetti tesi a rivelare la fisiologica vulnerabilità umana, la suscettibilità agli errori e alle debolezze, e quindi la nostra costante lotta per la crescita e il miglioramento. Non a caso, diversi intellettuali, al netto delle loro diverse formazioni, affrontano questo aspetto dell’esistenza umana, come a giustificare un elemento strutturale dell’umanità da rendere accettabile ai più.

«L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perché tutti i mondi che esistono, […] non essendo però certamente infiniti né di numero né di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l’universo potrebbe essere se fosse infinito», così recitava Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone. Le imperfezioni, le storture, i limiti, le mancanze non possono infatti essere ridotti a fattori marginali, o semplici ostacoli da abbattere, perché essi strutturano radicalmente l’essere umano. L’imperfezione è dunque parte integrante della vita, perché ci permette di sperimentare, di rischiare e di scoprire nuove forme di espressione.

Così come l’imperfezione ci aiuta a capire che ogni creazione è temporanea in quanto soggetta al naturale divenire delle cose, e bisogna, accettare il flusso del tempo come parte del processo creativo.
A ricordarci che l’imperfezione è un’opportunità, è anche Eugenio Montale. Ciò che non costituisce un risultato concreto e tangibile, misurabile e quantificabile risulta essenziale, dice Montale, per capire il mondo che sta intorno a noi, il significato delle cose e il nostro rapporto con la realtà. Così l’autore, seppur rassegnato all’impossibilità di ottenere certezze da una vita che tormentosamente ed incessantemente cambia, riprende la ricerca, consapevole che sia questa dialettica che dà valore alla vita, che consente ogni giorno nuove scoperte: “I dettagli, le imperfezioni, gli errori che celano la parte più autentica della realtà, fungono da appiglio per noi, leggeri e solcabili ossi di seppia sul mare della vita”.

Insomma, essere imperfetti non è un freno al progresso, il vero freno è la ricerca ossessiva della perfezione, l’attenzione maniacale al dettaglio che ci impedisce di comprendere la complessità del panorama in cui ci stiamo muovendo. L’imperfezione, lungi dall’essere un difetto da eliminare, è un valore intrinseco dell’esperienza umana, perché alimenta la crescita personale, e al contempo arricchisce la società.

Le imperfezioni sono ciò che ci rende umani, perché è nelle “piccole crepe” delle nostre vite che si nasconde la possibilità di crescita. A dirlo è il cantautore e poeta di origini canadesi Leonard Cohen, elevando l’imperfezione a simbolo universale della  resilienza e della capacità di trovare bellezza e speranza nelle imperfezioni e nelle vulnerabilità umane. In sostanza, l’accettazione dell’imperfezione e il riconoscimento delle differenze tendono ad incoraggiare la crescita di società inclusive con una vasta gamma di esperienze, prospettive e idee. Del resto, che lo spirito dell’imperfezione e della finitezza della vita contraddistinguano l’intera umanità, gregge, distinguendola dall’Oltreuomo, è anche Nietzsche a ricordarlo.

Che l’imperfezione sia bellezza e fonte di utilità possiamo comprenderlo anche dall’arte e dall’architettura. Dinnanzi a quanti di noi si sentono sopraffatti da aspettative irrealistiche, ansiosi di raggiungere la perfezione a ogni costo, c’è un’antica filosofia giapponese che celebra l’imperfezione, la transitorietà e la semplicità quali strade alternative verso una creatività più autentica e rigenerante.

Sono i principi del Wabi Sabi. Un approccio che trova origine nelle tradizioni Zen giapponesi. Il termine si riferisce ad una filosofia di vita  che valorizza la diversità come parte integrante della bellezza e della natura stessa dell’esistenza, fondandosi sull’apprezzamento della transitorietà delle cose e sulla consapevolezza della bellezza delle imperfezioni. In questi termini, il wabi sabi si manifesta in architettura attraverso l’uso di materiali naturali e forme essenziali che evocano la natura: cicatrici nel legno, crepe nella ceramica, segni di usura sui mobili. Il tutto con l’obiettivo di invitare a contemplare la bellezza delle imperfezioni e delle tracce del tempo, che sono considerati non solo accettabili, ma preziosi, poiché aggiungono profondità, carattere e autenticità agli spazi.

Ciò nonostante, la società contemporanea è spesso ossessionata dalla ricerca della perfezione estetica, una tendenza esaltata dai media e dai reality show. La televisione e le varie piattaforme digitali promuovono un ideale di bellezza il più delle volte inarrivabile. Un fenomeno sociale che non solo banalizza l’individualità, ma promuove la logica dell’apparenza sulle capacità o sul carattere. Una ricerca ossessionata, quella votata alla perfezione, che esige livelli sempre maggiori di visibilità, spingendo molti verso traguardi grandiosi, ammaliati da messaggi motivazionali, che tuttavia in molti casi generano una visione distorta del valore personale, oscurando l’importanza delle qualità interiori e delle esperienze autentiche.

In tal modo, il diffondersi del perfezionismo sta diventando un serio problema nella società occidentale sempre più narcisistica. Così, nel secolo in cui il progresso scientifico e tecnologico permette all’uomo di raggiungere confini inesplorati e impensabili, l’aspirazione alla perfezione ancora una volta irrompe nella vita umana. Nondimeno, le molteplici capacità e la consapevolezza che l’essere umano può acquisire nel corso della sua esistenza non possono debellare la naturale fragilità che lo caratterizza. Lo testimonia anche l’Antigone di Sofocle, la cui superiorità morale sta proprio nella consapevolezza della caducità della vita.

Un insegnamento che possiamo ritrovare anche nelle parole di Rita Levi Montalcini, nel suo Elogio all’Imperfezione: “Il metodo scientifico ha nell’errore, [e quindi nell’imperfezione] una risorsa, vivendo di tentativi ed errori che permettono, man mano, di avvicinarsi”, perché “è il continuo tentativo di conoscenza che procede per errori, per piccoli passi, aumentando di volta in volta la possibilità di imparare cose nuove sulla realtà che ci circonda”.

In quest’opera autobiografica, il premio Nobel per la medicina, nel ripercorrere il suo intero percorso, accademico e strettamente personale, spiega il potere attrattivo ed il fascino dell’imperfezione, nobilitandola come componente essenziale e vitale per l’evoluzione ed il cambiamento umano e sociale. Parole che fanno comprendere come le tante e fisiologiche insicurezze e incertezze che affastellano il presente lasciano il posto ad un’unica conclusione: se permettiamo che l’imperfezione muoia e rinunciamo alla sua forza generatrice, inseguendo la chimera di una perfezione fallace e artificiale, perché inesistente in natura, il rischio a cui si va incontro è quello di contribuire allo sviluppo di una collettività malata e senza identità. A noi la scelta.

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