Nero Kane – For The Love, The Death And The Poetry
Qui, la bellezza non ha più bisogno di essere rassicurante: è oscura, eterea, febbrile. Qui, il passato non resta intrappolato in un archivio polveroso di ricordi statici, ma riverbera, con ostinata potenza, nelle parole di Nero Kane, come una memoria che rifiuta l’oblio e continua a bussare, pretendendo ascolto. È un passato che si attualizza, che si fa corpo, che squarcia – già dal primo brano – il velo di menzogne che ci ostiniamo a stendere sopra la verità, nella speranza che la sua luce non ci accechi.

Non chiediamo mai perché: delle barche alla deriva in mezzo al mare, degli sciocchi che blaterano senza pensiero, delle volte in cui scegliamo, con colpevole comodità, l’irresponsabilità del silenzio. Quel silenzio che si trasforma in scudo, in corazza, in barriere, in muri, mentre il tempo – dell’amore, della morte, della poesia – scivola via, come acqua che nessuna mano riesce a trattenere.
E così ciò che rimane, spesso, è soltanto la vanità. Una vanità che queste trame cantautoriali, lente ed ipnotiche, non cercano di mascherare, ma vogliono attraversare, con una cadenza psichedelica che si fa viatico, viaggio errante, migrazione necessaria. Musiche raminghe, capaci di essere ovunque: nei deserti assolati e tra le macerie di città distrutte; nei cuori solitari, come nei frastuoni metropolitani; nell’elettricità, nell’acciaio che vibra e lungo esistenze che si ripetono, meccaniche e plastiche, come scorie tossiche che avvelenano ambiente, sogni e passioni, consumando quel fuoco – sacro e liturgico – che ci è stato consegnato.
Noi, spesso, lo logoriamo. Lo lasciamo spegnersi tra monotonia e frastuono, sepolto sotto una massa informe di byte. Preferiamo la trance virtuale di schermi ed algoritmi alla trance visionaria che questo disco ci offre: una dimensione magica, riflessiva, misteriosa, fertile di simboli e di spunti. Le nove canzoni di “For The Love, The Death And The Poetry” non sono soltanto brani, ma sono una colonna sonora per un altrove. Una terra del Niente che non pretende di possedere, di occupare, di colonizzare, ma che si lascia solamente evocare e respirare.
È lì che le parole di Samantha Stella scendono, come gocce di inchiostro nell’acqua, a spingersi nell’abisso dei nostri torti. È lì che l’equazione che genera rabbia ed ostilità dal dolore si spezza, implodendo in mille frammenti silenziosi. E allora lacrime, emozioni, voci, volti e chitarre trovano nuove coordinate spirituali, tracciando un orizzonte del possibile.
I suoni caldi e cavernosi, intrisi di un’eco remota, ricordano le frontiere solcate da Mark Lanegan. C’è un grunge che si fa deserto interiore, una stanza di echi intimi, un buio che diventa voglia di ascolto. E proprio in questo buio possiamo scorgere una via d’uscita dalla ristretta e polemica realtà che ci circonda, quella di un paese che si divide e si scoraggia, sempre in cerca di un alibi o di un capro espiatorio da immolare. Ma, in questo disco, non servono nemici, non servono condanne. Ci bastano le nostre allucinazioni, il desiderio di ascoltare versi mai sentiti prima, di intrecciare corpi e menti nell’abbraccio puro dell’amore, di fissare negli occhi persino la morte, con i suoi infiniti colori, le sue traiettorie, il suo eterno e ciclico ritorno.
“For The Love, The Death And The Poetry” è un’opera che ci ricorda, dunque, come amore, morte e poesia siano inseparabili, e come in quella loro stretta possiamo intravedere il senso ultimo dell’esistenza. Non a caso, ci viene in mente la voce di Sant’Agostino, che ci rammenta che noi amiamo, perché, in verità, questa è l’unica eternità che ci è davvero concessa.
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