Neil Young and The Chrome Hearts – Talkin’ To The Trees
Quando si disquisisce di chi, per meriti artistici, ha ottenuto una posizione eminente nel proprio ambito ma inizia ad avere un’età anagrafica considerevole è sempre buona cosa non eccedere in inutili servilismi di circostanza ma nemmeno, all’opposto, liquidarlo come inutile dinosauro, con evidente mancanza di rispetto.
Premesso ciò, non posso esimermi dal constatare con estrema onestà di essere giunto ad un punto di non ritorno nei confronti della prolificità di Neil Young.

Dato che sono tra i pochi che non si accontenta dell’ascolto in streaming, mi sento in diritto di essere stanco di investire tempo e denaro per i suoi nuovi lavori , che , nonostante molti non lo vogliano ammettere, sono di un’ispirazione che definire carente sarebbe un eufemismo.
Non serve quindi che recensisca nel dettaglio questo ennesimo nuovo disco di Neil, se non per dire che rispetto al precedente è più coinciso, non c’è l’apporto dei Crazy Horses, gioca tra blues e country, ma che risulta l’ennesimo album sciatto, goffo, con prese di posizioni sociali e politiche mal espresse, che rimescola i suoi stili senza un’adeguata vena compositiva.
Qualcuno forse potrebbe indispettirsi, ma preferisco di gran lunga investire nell’acquisto di uno dei suoi tanti “lost album” o live del periodo d’oro; non si tratta di nostalgia, semplicemente l’elenco di album recenti non riusciti è diventato davvero imbarazzante e c’è chi, senza inventare nulla di nuovo, pubblica molto ma sempre con qualità più che sufficiente, se non ottima (Van Morrison?).
Rispetto per la scelta di pubblicare tutto ciò che reputa valga la pena di essere pubblicato, la libertà artistica di Neil non si tocca.
Libero però l’ascoltatore di rimanere indifferente se la qualità non è soddisfacente, anche se nei tempi di oggi tutto si perde nel mare di uscite e di algoritmi.
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