Negli Usa, il docente usa ChatGPT per le lezioni, la studentessa protesta: “Ci viene proibito di usarla, mentre lo fa chi ci insegna. Paghiamo per una didattica umana, non per contenuti creati da un algoritmo”

Sul desktop del professore, la tecnologia genera i compiti. Sulle piattaforme digitali, le slide si moltiplicano grazie a istruzioni invisibili per chatbot.
Nei corridoi universitari, l’indignazione cresce: ora il sospetto non riguarda più l’elaborato degli studenti, ma il materiale didattico proposto dall’insegnante. Ed è qui che la ipocrisia accademica viene stanata. Studenti che, a caro prezzo, scoprono dietro la cattedra non solo l’esperto, ma anche la mano nascosta dell’intelligenza artificiale. Si testano i limiti della trasparenza, mentre le università imparano a gestire una rivoluzione che non si ferma davanti al regolamento.
Proteste e richieste di rimborso: la denuncia degli studenti
Documenti generati da ChatGPT e simili sbucano tra le risorse digitali dei corsi, con tracce evidenti: elenchi schematici, immagini distorte, errori sorprendenti. Ragazzi e ragazze si fanno sentire non solo nelle aule, ma anche sulle piattaforme di valutazione dei docenti e nei moduli per i reclami ufficiali. All’indignazione segue la richiesta: “Ci viene proibito di usare l’intelligenza artificiale, mentre lo fa chi ci insegna”, si legge nel reclamo di una studentessa, così come segnala il New York Times. La domanda si fa economica e valoriale: “Paghiamo per una didattica umana, non per contenuti creati da un algoritmo.” Le controversie si moltiplicano, così come le richieste di rimborso delle tasse universitarie, segno che la fiducia nell’istituzione è diventata merce rara. L’ipocrisia è ormai questione pubblica e oggetto di dibattito, spostando il confine tra etica e innovazione
Verso nuove regole e maggiore trasparenza
Quanto accaduto ha costretto le università a rispondere con nuove linee guida. Si parla di apprendimenti digitali e di creazione responsabile di materiali didattici, ma il punto centrale diventa la trasparenza. Alcuni atenei invitano i docenti a dichiarare apertamente il ricorso all’IA, altri ne regolano rigidamente l’uso per non snaturare la relazione educativa. Nasce una sfida: valorizzare le potenzialità delle tecnologie garantendo agli studenti il rispetto dei principi accademici e la qualità della formazione. L’epoca dei docenti-robot, dunque, è già arrivata; resta da capire se il confine tra uomo e macchina, in classe, sia più opaco o più trasparente
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