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Nba, il crollo dei Lakers: subito eliminati ai play-off. E LeBron James pensa al ritiro

NEW YORK – La gioventù di milioni di tifosi è finita all’improvviso nella notte: The King è tornato umano, senza più corona, sconfitto, vulnerabile. E anche un po’ solitario y final. Il giorno del ritiro di LeBron James potrebbe essere arrivato.

LeBron, Ronaldo e Messi eliminati nella stessa notte

Dire all’improvviso quando si ha più di 40 anni sembra uno scherzo, ma alla fine è così: i Los Angeles Lakers hanno perso in casa gara 5 con i Minnesota Timberwolves, senza neanche toccare i cento punti (96-103) e sono stati eliminati dai playoff al primo turno, da favoriti. Un flop. I Lakers, terzi, buttati fuori per 4-1 da Minnesota, che partiva da sesta. Nella stessa notte eliminato lui, eliminato Cristiano Ronaldo, 40 anni, nella Champions League asiatica (la sua squadra, Al Nassr, ha perso 3-2 contro i giapponesi del Kawasaki Frontale) e pure Leo Messi, 37, con l’Inter Miami buttato fuori dal Vancouver nella Champions americana. Il tempo si è preso con calma la sua rivincita ma ha fatto le cose in modo esatto: i tre vecchietti hanno vissuto la stessa sorte nella stessa notte. Ma se per Ronaldo e Messi è tramontata la possibilità di vincere un titolo di cui il novanta per cento del pianeta non sa niente, per Lebron James è sfumata la rincorsa al quinto anello da campione Nba, il traguardo cestistico più famoso al mondo, cinque anni dopo l’ultima volta. E sono arrivati tutti i dubbi.

Il futuro di LeBron James

Cosa farai adesso?, gli hanno chiesto i giornalisti. E lui: “Mi siederò e parlerò con la mia famiglia – ha risposto – mia moglie e il mio entourage e parleremo. Vediamo cosa succede”. “Parlerò – ha aggiunto – anche con me stesso per capire quanto ancora voglio giocare. La verità è che in questo momento non ho una risposta”. Le parole potrebbero essere state dettate dal senso di impotenza di una squadra senza un centro, capace di chiudere le strade sotto canestro. Nella gara decisiva questa assenza è apparsa ancora più clamorosa: Minnesota ha dominato fin dall’inizio (6-0), Rudy Gobert (alla fine 27 punti e 24 rimbalzi) sembrava l’adulto con i ragazzini. Con il passare dei minuti è apparso chiaro che stava succedendo qualcosa: LeBron non era lui. I primi nove minuti sono trascorsi con zero punti, un solo tentativo a canestro. Mentre Luka Doncic, la stella che aveva riportato la speranza del titolo a Los Angeles, continuava a palleggiare troppo a lungo senza trovare punti. Insieme hanno messo all’inizio un canestro su nove tentativi. Non è roba da loro. Alla fine LeBron ha segnato 22 punti, Doncic 28 ma quando ormai la gara aveva preso la sua direzione. Jaxon Hayes, centro a disposizione, è rimasto tutta la partita in panchina.

L’assenza di Anthony Davis sotto canestro

Ogni volta che Gobert (2,16 di altezza) schiacciava in solitudine a canestro, l’inquadratura si spostava sul volto perplesso di Hayes. Voleva dire pur qualcosa? Sì, che LeBron aveva avuto ragione quando aveva risposto “no comment” a chi gli aveva chiesto se lo scambio con Doncic e la partenza di Anthony Davis avesse tolto un big man sotto canestro, e reso i Lakers un gruviera in difesa. Negli ultimi giorni il malumore di LeBron verso la campagna di rafforzamento si era fatto più evidente. The King aveva persino ammesso la paura di finire come il suo amico Davis, messo in mezzo a una trade e mandato via. A quarant’anni deve aver pensato di meritarsi un finale diverso e, al netto della spietatezza del sistema Nba, ha ragione.

I numeri da record di LeBron James

Lui, comunque vada, è il giocatore ad aver segnato più punti nella storia (oltre 40 mila), unico con almeno 10 mila punti, 10 mila rimbalzi e 10 mila assist, il maggior numero di minuti giocati, più di 59 mila, di partite di play-off, più di 280, di triple, palle rubate, vittorie, dieci finali. Da quello che si è visto negli ultimi mesi, i suoi 40 anni non erano quelli di un impiegato (domenica ne aveva segnati 27, con 12 rimbalzi, anche se aveva perso una palla velenosa nel finale costata la sconfitta), ma deve essersi chiesto se ha senso continuare a giocare per perdere, in un gruppo che non cresce. Alla fine lo sport non fa sconti e nel modo peggiore: puoi ancora sentirti un re, ma se attorno a te non vedi un regno, vuole dire solo una cosa.


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