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Natalia Augias racconta i reali inglesi

Sarà che come disse l’allora principe di Galles, oggi re Carlo III, la monarchia è “una soap opera”. Certo è che di questa telenovela reale, sempre in bilico tra never explain, never complain (mai spiegare, mai lamentarsi) e clamorose sparate da dietro le quinte (leggasi memorie di Lady D. e dello spare per eccellenza Harry), settanta milioni di inglesi, pardon sudditi, e parecchi altri milioni di abitanti del mondo, non ne riescono ancora a fare a meno. Con buona pace di Peter Morgan, le vere vicende degli attuali Windsor, come dei precedenti Stuart e Hannover, producono naturalmente un’aura favolistica che nemmeno il materialismo storico tramutato in laburismo al potere negli anni sessanta è mai riuscito a scalfire.

Alle radici del mito, tra le stanze reali, nel traffico aneddotico di secoli di storia monarchica inglese si è avvicinata Natalia Augias che con C’era una volta un regno (Einaudi) ha mostrato non solo la propria vitale, sincera, attrazione per regine, re e principi, ma ha anche abbozzato una constatazione e un interrogativo: riusciranno i nostri eroi a mantenere il centenario soft power politico e culturale di fronte alla globalizzazione dei costumi e ai nazionalismi esasperati? Già perché il legame tra monarchici e sudditi inglesi vive di un buffo paradosso sociologico: quando il popolo affamato e impoverito durante la seconda guerra mondiale vede Giorgio VI ed Elisabetta vivere la tragedia della guerra assieme a loro (i sovrani rimangono a Londra mostrando coraggio e vicinanza, lo spiega bene Augias nel libro) il legame con la Corona si fa intenso e fitto. Varrà ancora per i futuri e prossimi regnanti, parliamo di William e Kate, con quest’ultimo che “ha già detto di voler mettere una r minuscola alla parole “reale”, ponendo la monarchia al servizio delle persone”?

Non è un volumetto agiografico quello della Augias, anzi. C’era una volta un regno è un ottimo compendio tra puntuale e dettagliata documentazione storica, gusto della spigolatura e perfino del classico gioco del personaggio preferito in mezzo a tante figurine reali. Augias ad esempio, spende parole gentili, finanche affettuose, per Camilla e il suo accidentato percorso verso il trono: “Sotto il suo aspetto segaligno, così facile da mettere in caricatura, la regina è una donna spiritosa, intelligente, soprattutto empatica”. Mentre il ritratto di Diana oscilla tra un’ovvia pietà e righe mica tanto empatiche, anche se chiaramente e storicamente oggettive: “l’aspetto più inquietante dell’infelicità di coniugale (con Carlo ndr) è la violenza con la quale la principessa manifesta la sua rabbia”. Del resto Lady D. è nella colonna dei cattivi sulla lavagna, ovvero in un capitoletto intitolato “Le pecore nere” assieme a una figura nefasta come il principe Andrea e al figliolo di scorta Harry.

Di Andrea, Augias ricorda un particolare psicologico inquietante, ovvero quei 72 orsacchiotti tenuti in ossessionato ordine sul letto a baldacchino mentre gli anni passano e lui finisce in mezzo alla tela di Epstein e della prostituzione minorile. Su ogni pagina aleggia peraltro l’orchestrazione di umori, ditirambi e macchine del fango, dei tabloid inglesi verso azioni, pensieri e parole degli Windsor. Per questo diventa ulteriormente preziosa la prima parte del libro, dove Augias sintetizza i regni di Elisabetta I e Vittoria senza dover irrimediabilmente cedere anche alla presenza trasversale dell’interpretazione della stampa scandalistica. Augias sceglie spesso fonti primarie (diari autografi ed esempio) per tessere la trama e l’ordito che nell’ambito dell’epoca vittoriana risaltano sentimenti e palpitazioni (l’amore per il principe Alberto) della regina Vittoria che si sposa il 10 febbraio del 1840 nella prima vera “operazione d’immagine” della Corona in pubblico, dando il via ad una moda borghese che non conoscevamo. Vittoria sceglie un abito bianco “che risplende in una Londra dove il colore bianco praticamente non esiste. È infatti da queste nozze di quasi due secoli fa che deriva l’abito bianco delle spose”.

C’era una volta un regno, in fondo, è un saggio storico che fa emergere un potere femminile che non ha eguali al mondo. Elisabetta II in primis, la sovrana con il record di anni sul trono inglese (70, Vittoria ne fece 63), forse quella che ha incrociato più trasformazioni socio-politiche ed economiche delle sue precedenti parenti coronate (nel 2022 l’economia dell’India, ex colonia britannica, ha superato quella inglese, segnala Augias) senza far perdere alla Corona quell’intramontabile e non scalfibile aura di naturale preponderanza gerarchica che arriverebbe direttamente da Dio: “Elisabetta è stata per oltre mezzo secolo una tela bianca sulla quale ciascuno ha potuto proiettare le proprie idee, immaginandola accanto a sé nelle battaglie e nelle speranze della vita”.


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