nascita e storia di un progetto educativo alternativo
BIBLIOTECA ARIOSTEA – Frammenti dell’incontro con il maestro Mauro Presini (9 aprile 2025)
Nell’Italia degli Anni ’90, mentre il mondo dell’educazione oscillava tra riforme strutturali e dibattiti sui metodi didattici, una classe di terza della scuola primaria di Cocomaro di Cona, in provincia di Ferrara, dava vita a un’esperienza destinata a sopravvivere alle riforme politiche della scuola e a dare un esempio di pedagogia attiva: “La Gazzetta del Cocomero”. Di questa esperienza, ormai trentennale, si è parlato ieri, 9 aprile 2025, nell’incontro dal titolo “La gestione di un giornale scolastico”, nella Sala Agnelli della Biblioteca comunale Ariostea, a Ferrara, con il maestro Mauro Presini, non un semplice maestro di scuola primaria, ma un cittadino poliedrico impegnato da decenni in progetti sull’inclusività, tra cui “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.
Presini ha aperto l’incontro riportando la sua esperienze di giovane studente: “Ricordo alle medie, negli anni Sessanta, quando ricevetti il primo giornale scolastico intitolato Noi della Garibaldi: ‘Garibaldi’ era il nome della scuola media che frequentavo, ma non mi sentivo parte del ‘noi’. Quel giornale era progettato dagli adulti, noi studenti ne eravamo esclusi”. Poi ha continuato: “Esistono due tipi di giornale scolastico, a seconda dell’idea pedagogica che si ha del bambino-studente: qualcuno crede che i bambini siano come contenitori da riempire di nozioni e allora il giornale rispecchierà questa idea, cioè che il bambino deve leggere per imparare dal giornale creato dagli adulti, non deve partecipare al processo creativo”. Poi, dopo essersi interrotto per leggere l’articolo 21 della Costituzione (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) ha fatto riflettere i presenti su quel “tutti”: chi riguarda?
“Quel tutti riguarda anche i bambini e le bambine che hanno diritto di esprimere liberamente le loro opinioni con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione su questioni che li riguardano. I bambini sono cittadini attivi. Perciò seguendo quest’altra linea pedagogica i bambini devono essere parte del processo creativo di un giornale scolastico, parte del Noi che, invece, escludeva gli studenti negli anni Sessanta”.
Le radici pedagogiche nell’idea di Presini si ritrovano, come egli stesso ha ben illustrato, in Célestin Freinet, maestro francese che negli anni ’20 trasformò le sue difficoltà personali a svolgere le tradizionali lezioni frontali in un’opportunità per reinventare la didattica. Freinet introdusse la stampa a caratteri mobili in classe, non come mero strumento tecnico, ma come atto politico: comporre manualmente i testi obbligava i bambini a riflettere sul significato delle parole, ad aspettare il proprio turno per stampare e, soprattutto, a riconoscersi come autori di un pensiero collettivo. Questa pratica, ripresa in Italia da Mario Lodi negli anni ’60, ben raccontata dal documentario di Vittorio De Seta, ribaltava il paradigma della scuola come trasmissione di conoscenze, considerando più importante partire dal bambino, parte attiva del processo di apprendimento.
Così, nel 1992 prende forma l’idea di Presini e l’entusiasmo fu tale che, l’anno successivo, l’intero istituto adottò il progetto, trasformando la redazione in un organismo collettivo formato da tante classi. Ma il maestro ha precisato: “Non sono io l’ideatore della Gazzetta, lo siamo stati tutti, bambini, insegnanti e genitori che presero parte alle assemblee: è un progetto che non sarebbe potuto nascere senza la collaborazione e la costruzione di relazioni tra le persone”. In particolare, si è soffermato sull’esigenza dei bambini di farsi leggere e ascoltare, di allontanarsi dal semplice esercizio di grammatica per il quale venivano lodati o rimproverati a casa, per dare spazio ai propri pensieri. Poi ha proseguito: “Non si tratta semplicemente della pubblicazione di un ‘giornalino scolastico’, ma è un vero e proprio laboratorio di cittadinanza. Si tratta di un modo pratico di applicare le proprie conoscenze, mettersi alla prova: i bambini non solo imparano a scrivere, ma gestiscono gli abbonamenti e il bilancio, calcolando le spese in entrata e in uscita, imparano ad impaginare e ad utilizzare i principali strumenti tecnologici”.
Infatti, uno degli aspetti più innovativi della Gazzetta è l’integrazione tra discipline, come raccontato nel video realizzato da una classe nel 2001 su tutte le fasi di lavoro e sulle varie rubriche della testata, proiettato durante l’incontro. Nella rubrica Matematichiamo insieme, i bambini discutono questioni come “Perché esistono i numeri?” esplorando concetti astratti attraverso il dialogo. Allo stesso modo, la sezione dedicata alle storie personali diventa un’occasione per affrontare temi legati al proprio sentire, o in alcune occasioni speciali temi come l’integrazione: ad esempio la storia di un bambino curdo, arrivato a scuola, dopo essere scappato dal suo Paese a causa della guerra.
Ci sono state altre esperienze “internazionali”, come la raccolta di filastrocche per la conta da tutto il mondo: gli alunni contattarono personalmente le scuole internazionali per riceverle e pubblicarle. Inoltre si rafforzavano le relazioni attraverso la correzione reciproca degli articoli, richiedendo solo in fase finale l’intervento dell’insegnante.
Presini, avviandosi verso la conclusione dell’incontro si pone la domanda sul futuro dei giornali scolastici e sull’uso della tecnologia: “Un giornale online si consuma in un click. La fisicità della stampa insegna il valore dell’attesa, della cura nel conservare, del gesto concreto di sfogliare: la carta favorisce relazioni mediate dalla materialità. Non si tratta di essere nostalgici, ma di guardare criticamente, in ottica educativa, il potenziale di ciascun mezzo tecnologico. Ogni insegnante deve chiedersi quali tipi di relazione si possano costruire attraverso determinati strumenti, scongiurando il rischio di isolare i bambini in un flusso di informazioni rapide”. Ha poi aggiunto, con una riflessione linguistica e politica, che ha ripreso anche dopo sollecitato da una domanda del pubblico: “Anche se scritti da bambini, queste testate dovrebbero essere chiamate ‘giornali’, non ‘giornalini’, il diminutivo non dà abbastanza dignità, sminuisce il valore delle cose. Anche nella mia esperienza con i carcerati, i diminutivi sono molto presenti nella loro lingua, ma dobbiamo usare una lingua vera, una lingua che dia valore alle cose e alle persone. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che questi progetti permettono ai bambini (e alle persone detenute) di ottenere fiducia dalla comunità tramite il confronto e la costruzione di relazioni, quindi di coltivare speranze. Soprattutto in un Paese come l’Italia, impantanato in un presente marcio, dove sembra non esserci spazio per il futuro e in cui il mondo dell’educazione è in mano a giochi della politica, creare relazioni diventa necessario per non perdere completamente la visione del futuro, a scuola, come in carcere”.
L’esperienza della Gazzetta del Cocomero messo in campo nella scuola primaria di Cocomaro di Cona (Ist. Comprensivo Don Milani), lungi dall’essere un caso isolato, offre un modello per ripensare la scuola come l’officina di democrazia. In un’epoca segnata dalla crisi delle istituzioni tradizionali e dall’individualismo digitale, progetti come questo ricordano che l’educazione è anzitutto pratica di ascolto reciproco e responsabilità collettiva.
[Resoconto a cura di Maria Luigia Buccolieri, tirocinante Unife all’Ufficio Stampa del Comune di Ferrara]
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