Musetti, le parole non servono. Le partite si vincono con le gambe e il cuore

Da orgoglioso carrarino, a Lorenzo Musetti non difettano le parole. Talvolta esagera, e nessuno se ne stupisce nella città che fu il centro vitale dell’anarchia italiana, atea per definizione. Tra l’Ottocento e il secolo scorso, nelle piazze, nelle osterie, nei circoli di Carrara la politica si faceva urlando e bestemmiando, i comizi e le assemblee dei cavatori erano scuole di oratoria ruvida e popolare. Non sappiamo quali siano state le parole frullate nella testa di Lollo al termine della partita contro Alex de Minaur, che avrebbe potuto perdere e invece ha vinto per 7-5 3-6 7-5 dopo quasi tre ore massacranti, ma possiamo immaginarle.
Sabato aveva mostrato il proprio valore assoluto nella splendida finale pur persa per mano di Novak Djokovic nell’ATP 250 di Atene. Ieri, stanchissimo, aveva dovuto arrendersi a Taylor Fritz in due set. Stasera ha espresso in più momenti lo stesso gioco scintillante che gli aveva consentito di inserirsi, in cima all’ultima salita, tra gli otto Grandi Maestri di Torino.
Esclusi pochi game iniziali, senza praticamente scambi in quanto decisi dalla prevalenza dell’efficienza del servizio nel gioco di entrambi, la partita m’è sembrata tra le più equilibrate, combattute e divertenti di queste Nitto ATP Finals. Le quasi trenta ore di riposo in più dell’avversario – de Minaur aveva ceduto nel confronto con Carlos Alcaraz domenica nel pomeriggio- si sarebbero potute rivelare determinanti a favore dell’australiano, e invece Musetti nel terzo set ha continuato a credere di poter recuperare il break subito in apertura, e alla fine ce l’ha fatta grazie a due break consecutivi. Sul campo ha ringraziato il pubblico, e mai come stasera non s’è trattato di parole di cortesia. Senza il cuore condiviso dei quindicimila sulle tribune, di sicuro sarebbe ora fuori, di fatto, dal torneo. Invece è ancora in corsa per le semifinali. Giovedì se la giocherà contro Carlos Alcaraz, che oggi ha faticato ad aver ragione di Fritz (6-7 7-5 6-3).
Ci sono parole e parole, alcune feriscono, altre rasserenano. Piers Morgan è tra i più popolari giornalisti britannici, di quel genere assai mediatico che passa dalla direzione dei tabloid scandalistici come il defunto News of the Word e il Sun al ruolo di giudice di Britain’s Got Talent. Adesso cura un proprio canale su YouTube che si chiama, indovinate un po’, “Piers Morgan Uncensored”, con oltre quattro milioni di iscritti. Intervista solo personaggi popolari, meglio se globali. L’ultimo suo interlocutore in ordine di tempo è Novak Djokovic. In attesa di vedere l’intero video, abbiamo letto oggi nei lanci d’agenzia che l’ex numero 1 al mondo avrebbe detto a Morgan, riferendosi alla vicenda del Clostebol che tormentò per un anno la vita di Jannik Sinner, che “a cloud will follow forever” il campione italiano, così come “a Covid cloud will follow me”. Inutile tradurre. Così, estratte dal contesto di un’intervista di un’ora, sono frasi che possono indurre a valutazioni errate, dunque ricamarci sopra serve soltanto ad alzare il volume della cacofonia dei social, dove passano il proprio tempo milioni di sfaccendati.
Fosse a Torino in questi giorni, ci sarebbe da chiedere al serbo ex numero 1 ATP il vero senso delle esternazioni sollecitate da Morgan, che immagino abbiano pochissimo a che fare con Sinner e molto con le vicende che all’inizio del 2022 portarono alla sua espulsione dall’Australia in quanto no-vax. L’allora nove volte campione di Melbourne fu travolto dalle critiche globali, ma personalmente me ne ero quasi dimenticato, tanto da non avere più scritto una riga al proposito. Altrettanto hanno fatto altri colleghi estimatori di Nole quanto lo sono io. Perché, dunque, tornarci sopra e coinvolgere anche Jannik? Sarebbe spiacevole se domani sera, nella conferenza stampa dopo il match contro Alexander Zverev, qualcuno risollevasse la questione Clostebol, che va lasciata ai patiti del gossip avvelenato su X e simili.
Il tennis giocato è più divertente delle parole fuori misura. Nel doppio, a inizio giornata, Simone Bolelli e Andrea Vavassori si sono guadagnati, giocando benissimo, l’accesso anticipato alle semifinali delle ATP Finals sconfiggendo per 7-6 6-4 le teste di serie numero 3, lo spagnolo Marcel Granollers e l’argentino Horacio Zeballos, entrambi all’incirca quarantenni come il bolognese (l’unico “giovane” in campo era il torinese, classe 1995). Impegnato lontano dall’Inalpi Arena, ho seguito il live video sul cellulare eppure ho ugualmente percepito l’entusiasmo degli spettatori. Il doppio, che nei circoli del tennis è ovunque più praticato del singolare, è una specialità ad altissimo tasso spettacolare che prima o poi troverà anche un adeguato spazio mediatico. Come quasi tutti i protagonisti della new wave tennistica italiana, Simone e Andrea hanno poi storie personali e uno stile improntato all’understament che non fa notizia eppure trasmette sensazioni positive a chi li segue. Da loro non ci sono da aspettare rivelazioni o proclami bensì tanto buonsenso. Ecco, senza attribuzioni, gli highlights di quanto hanno detto nella conferenza stampa dopo la vittoria: “Il nostro obiettivo era mettere più energia in ogni scambio, cercando di rimanere sempre uniti, sempre con gli occhi negli occhi. È stata questa la chiave. Abbiamo giocato due ottime partite, oggi anche meglio della prima, domenica (contro le teste di serie numero 1 ndr). Non vediamo l’ora che arrivi la terza”. Per i fronzoli, come per le cattiverie verbali gratuite, rivolgersi altrove
Source link




