Salute

Muscular Christianity, il movimento che a fine Ottocento voleva unire sport e spiritualità

di Marco Pozzi

Sport e spiritualità, come li mettiamo insieme? “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” verrà subito in mente, citazione famosa da un’intervista di Pasolini il 31 dicembre 1970. Ma, un secolo addietro, s’è sviluppato un vero e proprio movimento sociale, non solo per il calcio, che ha messo insieme sport e spiritualità. Lo si è chiamato “Muscular Christianity”, termine che nasce da un articolo del 1858. Proprio in questo periodo pasquale mi sono imbattuto in un libro che ne parla.

Accade che, nel XIX secolo, in Inghilterra e Stati Uniti, nella chiesa protestante s’incentivano allenamento fisico e competizioni sportive per fortificare l’azione evangelica nel mondo; ci si oppone all’indebolimento del corpo, e discipline come tiro al bersaglio, canottaggio, caccia, pesca sono un esercizio a compiere nel mondo l’opera di Dio.

Si recuperano alcuni riferimenti nel Nuovo Testamento: la resistenza alla fatica nel martirio (Marco 11:15); i due versetti di San Paolo: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1 Corinzi 6:19-20). Dello stesso Cristo, incarnato in un corpo umano, si esalta la forza rispetto all’essenza divina e lontana del Padre. Non è più il volto sofferente in croce, ma il predicatore atletico che viaggia e lotta per evangelizzare il mondo. E a questa vitalità ci si deve ispirare per dare energia all’opera della Chiesa nella società: non più ascetismo né misticismo, ma sudore.

Il corpo è uno strumento per agire nel mondo, i muscoli lo sono per mettere in pratica le idee e gli ideali. Per gli uomini lo sport è un mezzo per affermare la propria mascolinità in risposta ai nuovi lavori da ufficio, alle mansioni nelle industrie. Per le donne, sempre più presenti nelle chiese, è una possibilità di emanciparsi, per ritagliarsi un ruolo autonomo e da protagonista nella società, oltre le convenzioni. E si moltiplicano le attività per i ragazzi, nei percorsi scolastici e universitari: uscite in spazi naturali, nuotate in piscine urbane, addestramento nei boschi, che portano alla formazione di organizzazioni come i Boy Scout (viene in mente anche il ruolo che lo sport ha avuto in tanti oratori nella nostre città).

L’esercizio fisico è rimedio contro l’infiacchimento e sintomi quali emicranie, debolezze, mal di schiena, e rafforza il benessere mentale scongiurando esaurimenti, nevrosi, isterie (gli stessi motivi che oggi ci spingono a iscriverci in palestra, a un corso di qi gong, o fare pilates); in buona salute, con disciplina e costanza, si può davvero agire nella società e portare il massaggio cristiano in maniera efficace ed entusiasta: l’atleta è equiparato a un predicatore, siccome bisogna camminare nel mondo per portare alle genti la parola del Vangelo: sono i Social Gospellers.

Si verifica una specie di colonizzazione sportiva sul pianeta. Gli sport vengono esportati a volte non senza difficoltà, poiché non s’innestano nella cultura locale: i giapponesi considerano gli sport di squadra inferiori rispetto ai loro sport di lotta individuale, quali karate e sumo; i cinesi associano lo sforzo fisico soltanto alle classi inferiori; gli abitanti dei tropici, luoghi caldi e umidi, sono scarsamente motivati a un esercizio fisico faticoso e volontario.

In quest’ottica davvero lo sport diventa una forma di collante sociale, tanto che, ad esempio, per il ruolo che ha avuto nell’impero inglese, è a volte accostato al ruolo ricoperto dal cristianesimo nell’impero romano in decadenza. Inoltre la prestanza fisica si mescola al patriottismo, al rafforzamento del ruolo inglese o americano sul pianeta, e fornirà slancio verso la partecipazione nella Prima guerra mondiale.

Negli anni 20, anche per le accuse di aver preso parte come cristiani alla carneficina, il movimento Muscular Christianity s’indebolisce. In quegli anni riprenderanno i Giochi Olimpici moderni, sempre più grandiosi, capillari, totalizzanti.
E forse, pur senza il nome del 1858, i grandi eventi planetari di oggi dimostrano che l’ideale ecumenico ed evangelizzante sportivo si è davvero compiuto.


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