Motherhood Penalty, Chiara Bacilieri: «Cerco di far riconoscere ai manager gli ostacoli invisibili e normalizzati che frenano la crescita professionale delle lavoratrici»
Uno degli appelli più accorati e ricorrenti della politica italiana negli ultimi anni è rivolto alle donne: fate figli. Ogni anno nel nostro Paese nascono sempre meno bambini. Secondo l’Istat nel 2024 i nuovi nati sono stati 369.944, -2,6% rispetto all’anno precedente. E non è andata meglio nel periodo gennaio-luglio 2025, quando le nascite sono state circa 13.000 in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Per contrastare l’inverno demografico si chiede alle donne di fare di più, senza però considerare, oltre alla volontà personale, che diventare madre significa molto spesso ancora oggi essere espulse dal mondo del lavoro. O nella migliore delle ipotesi subire un forte ridimensionamento, anche economico.
«Come sappiamo le donne sono sempre svantaggiate rispetto agli uomini ma quando diventano mamme le cose peggiorano e per loro spesso non c’è più posto. Secondo le ultime ricerche in Italia il 68,9% di donne senza figli risulta occupata contro un 62,3% delle madri». A snocciolare queste percentuali è Chiara Bacilieri. Direttrice dell’Innovazione dell’azienda Mindwork, si occupa di promuovere la parità di genere, l’equità e il benessere mentale all’interno dei luoghi di lavoro e da anni cerca di combattere la penalizzazione che subiscono le lavoratrici una volta divenute madri, un fenomeno noto con il nome di Motherhood Penalty.
Agli uomini la paternità migliora la carriera
«A volte sento usare il termine Child Penalty ma è sbagliato perché i contraccolpi legati alla nascita di un figlio impattano solo sulle madri e mai sui padri, che non hanno battute d’arresto nella carriera ma anzi dalla genitorialità escono spesso più forti. Basti pensare che il 77,8% degli uomini senza figli è occupato contro il 91,5% di quelli con figli».
Tutto ciò ovviamente non è un caso, ma la logica conseguenza di uno schema familiare ancora solidissimo, secondo cui l’uomo si fa a carico della sostenibilità finanziaria della famiglia e la donna del lavoro di cura. «Sapendo che a casa c’è chi si occupa di gestione domestica, figli ed eventualmente genitori anziani, gli uomini si sentono più liberi di dedicarsi anima e corpo al lavoro, e mentre la loro carriera avanza, quella delle compagne arranca».
E alla fine molto spesso, non riuscendo più a tenere insieme tutti i pezzi, tante lasciano la propria professione. «Succede a una su cinque dopo la maternità, circa il 20% che diventa il 35% nel caso di figli con disabilità».
Donne che escono dal mercato produttivo e smettono di avere un reddito proprio, con conseguenze negative per loro, che senza indipendenza economica finiscono per essere più esposte alla violenza domestica, ma anche per l’economia del Paese.
Dove le donne lavorano l’economia cresce
«In realtà come quelle del nord Europa, dove i ruoli all’interno delle famiglie sono meno netti e l’occupazione femminile è molto più alta lo è anche il Pil. Le donne che lavorano impattano positivamente su tutta la società».
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