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Mother, Madre Teresa di Calcutta tra aborto e crisi spirituali colpisce il Lido

Scandalosa Madre Teresa di Calcutta. Malandrino quel crocifisso insanguinato, usato come gingillo per abortire, che appare verso la fine di Mother, film diretto dalla macedone Teona Strugar Miteska che apre la sezione Orizzonti di Venezia 2025. Opera lugubre ed inquieta che racconta un episodio (vero?) nella vita della celebre suora macedone che fondò in India nel 1948 la congregazione delle Missionarie della Carità.

La cocciuta, indefessa, risoluta laboriosità che contraddistingue Madre Teresa (una Noomi Rapace sempre più prosciugata e spigolosa) a favore dei poveri e malati indiani viene messa a dura prova dalla confessione di suor Agnieszka (Sylvia Hoeks). La sorella che sarebbe stata designata a succederle al comando del convento di Saint Mary, tra gli slum di Calcutta anni quaranta, è improvvisamente incinta. Tra le anguste cellette monacali, i rigorosi asettici rituali di preghiera e di alimentazione delle suore, il piano regolare e lungimirante di Madre Teresa subisce un autentico contraccolpo pratico e spirituale. Agnieszka del resto vorrebbe abortire, anche se non rinuncia a spiegare alla consorella che quell’accoppiamento è avvenuto con sincero amore per un derelitto in fin di vita ancora vispo in altri affari. Il countdown temporale, scandito su sette giorni a ritroso, con gigantesche scritte bianche che invadono lo schermo, e qualche sparuta intromissione musicale metal, mettono in risalto non solo la voluttuosa follia che travolge Agnieszka ma i dubbi che assalgono, tra incubi notturni e allucinazioni l’integerrima protagonista.

Giocando su più piani della possibile ambiguità di significato della parola “madre”, Miteska crea un film totalmente al femminile, ripulito da fronzoli scenografici, dove Madre Teresa, figura storica tendenzialmente incensata seppur spesso fortemente criticata, è un fascio di nervi e muscoletti insaccato sotto strettissimi cuffie e soggoli, dedito all’ambizione personale e a schivare le scintille provocate dal traballamento di vocazione e fede. L’aspetto visivamente crudo diventa poi imperante, impregnando di oscurità celle e convento, facendo capolino simbolico nell’esibizione del mestruo (le mutande sporche delle monache gettate in un grande secchio d’acqua e poi lavate), nelle ferite purulente dei malati, e infine nelle tracce evidenti di questo tentato aborto della consorella che Madre Teresa pulirà carica di forza esagerata con brusca e straccio per diversi secondi sul pavimento. Del resto per sfuggire a questo abisso materialistico e carnale, Madre Teresa restringerà ancor di più le regole spirituali e morali del nuovo ordine che fonderà, sintetizzate in una potente sequenza finale di auto taglio dei capelli che ricorda una sempreverde Giovanna d’Arco in primo piano.


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