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Morto Aldo Tortorella, dal pacifismo alla questione morale: così ha tentato di portare il pensiero di Berlinguer nel mondo di oggi

Le sue ultime uscite pubbliche erano come sempre ben radicate sull’attualità: il primo governo guidato da un partito erede del Msi, l’atroce riaccensione della guerra in Medio Oriente. “Avanza anche nel potere governativo una contraffazione della storia volta a riabilitare il fascismo e l’odio verso gli immigrati senza i quali ci sarebbe il disastro economico. Noi vecchi abbiamo fatto quello che abbiamo saputo fare, ma non è stato abbastanza. Adesso tocca ai nuovi compagni e compagne” aveva detto alcuni mesi fa Aldo Tortorella, parlamentare per vent’anni nel Pci, vicinissimo a Enrico Berlinguer, fine intellettuale e prima ancora partigiano col nome di battaglia Alessio. E’ morto la notte scorsa a 98 anni, l’annuncio è stato dato dall’Anpi, l’associazione dei partigiani. Tutta la sinistra è in lutto: messaggi di cordoglio arrivano da tutti i leader della sinistra, presenti e passati, da Elly Schlein a Nicola Fratoianni, da Pierluigi Bersani a Maurizio Acerbo, da Fausto Bertinotti a Maurizio Landini. La camera ardente sarà allestita domani, venerdì 7, nella Sala Aldo Moro di Montecitorio. Sarà possibile rendere omaggio al feretro dalle 10 alle 17.

Tortorella aveva combattuto nella Resistenza eppure negli ultimi anni ha fatto sentire sempre la sua voce pacifista. Per esempio nel 1999: allo scoppio della guerra del Kosovo e dopo il sostegno del governo di Massimo D’Alema, presidente del suo partito, i Ds, scrisse una lettera al segretario Walter Veltroni, dando le dimissioni dal comitato direttivo del partito “per il pieno e radicale dissenso verso l’appoggio dato fin qui alla guerra, che andava e va condannata da ogni punto di vista, appoggio deciso senza alcuna consultazione con gli organismi dirigenti”. E ancora negli ultimi mesi: la condanna della “strage orribile” e lo “sterminio barbaro” in Palestina, l’indice puntato contro “i tentativi di rispondere con regimi autoritari anziché con nuova giustizia sociale alla crisi della democrazia liberale e rappresentativa”, la presa di posizione contro “la guerra in Europa, con la Russia modello di regime autoritario a capitalismo selvaggio” perché “battersi contro il cieco fanatismo non vuol dire essere ciechi con Putin, la solidarietà piena con i democratici russi che combattono Putin è coerente con la spinta verso la pace”.

Tortorella era nato a Napoli nel 1926, aveva studiato tra Genova e Milano. Sta ancora studiando quando si unisce alla guerra partigiana e al Pci, a Milano. Nel Fronte della Gioventù – la più nota ed estesa organizzazione dei giovani impegnati nella lotta di liberazione in Italia – conosce Gillo Pontecorvo, che sarà uno dei più grandi registi degli anni Sessanta e Settanta. Tortorella, diventato responsabile degli studenti universitari, viene arrestato nel 1944: non ha ancora compiuto 18 anni. Lo fermano di fronte alla Cattolica, dove sta andando per un incontro clandestino: qualcuno – dirà poi – fece la spia. Finisce in carcere, si ammala, viene trasferito all’ospedale Maggiore. Da qui evade in modo rocambolesco, grazie a un primario comunisti e a una suora, poi decorata con la medaglia d’oro al valore per la Resistenza. Si chiama Giovanna Mosna: curò partigiani e perseguitati politici e ogni volta tentava – e riusciva – soluzioni per far fuggire gli ammalati piantonati. Per esempio si metteva d’accordo con i medici per far alzare le temperature febbrili, cortine di fumo per aggirare la sorveglianza. Racconterà alla rivista Pandora: “Il capo del Fronte, Eugenio Curiel – un giovane fisico di valore dell’Università di Padova epurato perché ebreo, antifascista e comunista già prima della guerra, poi assassinato dai fascisti per strada, a Milano, alla vigilia della liberazione – mi mandò a Genova a rifondare l’organizzazione del Fronte della Gioventù dove il gruppo dirigente era stato in parte catturato, in parte disperso. Il Fronte era composto da tutti i partiti del Cln. Tra i fondatori e dirigenti c’erano anche due monaci serviti, Davide Turoldo e Camillo de Piaz, che saranno emarginati dalla gerarchia ecclesiale per tutta la loro esistenza”.

Dopo la Liberazione Tortorella inizia la scalata dentro il partito e dentro l’Unità, della quale diventerà direttore per 5 anni dal 1970. Viene eletto deputato per la prima volta due anni dopo: resterà parlamentare per 22 anni, fino al 1994 quando chiede di non essere ricandidato. E’ una figura vicinissima a Berlinguer, nella segreteria ricoprirà il ruolo di responsabile della Cultura. Sarà scettico, per non dire critico, sull’ipotesi di “compromesso storico” con la Dc, mentre sarà sempre un forte sostenitore del discorso sulla questione morale, un “pallino” che si è portato dietro per tutta la vita fino al 2005 quando criticò il partito per la scalata dell’Unipol alla Bnl.

Quando Achille Occhetto portò il Pci alla svolta della Bolognina e all’abbandono dell’ideologia comunista, Tortorella fu tra gli autori della mozione 2, che poi comporrà il cosiddetto “Fronte del no”. Con lui ci sono tra gli altri Alessandro Natta (successore di Berlinguer, alla cui segreteria Tortorella prese parte) e Pietro Ingrao. Il congresso dette ragione ad Occhetto, ma Tortorella rimase nel partito. “La notizia della sua scomparsa – dice oggi Occhetto – mi ha colpito profondamente, riportandomi alla lunga comune militanza comunista iniziata fin dai tempi in cui a Milano, lui direttore dell’Unità, io segretario della Federazione giovanile comunista, iniziammo la nostra lunga amicizia. Aldo è stato per me un maestro e un mentore. La nostra divisione al momento della Svolta della Bolognina l’ho vissuta come uno dei momenti di maggiore dolore e sofferenza. Ci siamo rivisti, l’ultima volta, a un convegno su Marx in cui eravamo entrambe relatori. Constatai, con grande sollievo, che il nostro rapporto umano non era stato intaccato e che continuavamo, comunque, a stare dalla stessa parte della storia con la medesima confidenza e passione di sempre”. Nel Pds e poi nei Ds farà sempre parte della corrente di sinistra. Vedrà con interesse i social forum e i movimenti no global, criticherà i governi di centrosinistra perché – secondo lui – non davano discontinuità rispetto alle politiche dei governi di Silvio Berlusconi, sottolineerà l’attualità della questione morale, ha spinto per una sinistra unitaria e alternativa all’area centrista e moderata. Portava con sé il tentativo di mantenere vive le idee di Berlinguer, di rendere attuale il suo pensiero. In un’intervista al manifesto del 2019 disse: “Molte delle sue tentate innovazioni parevano isolare il partito, rompere la concezione della politica come capacità di alleanze. Fu uno scandalo quando andò ai cancelli Fiat in una lotta aspra e perduta. Berlinguer si era avvicinato all’ecologismo, al nuovo femminismo ‘della differenza’, al pacifismo, alla comprensione della trasformazione tecnologica, al bisogno di una aggiornata critica al capitalismo nuovo e alla necessità di una rifondazione etica della politica e dei partiti, a partire dal suo. Questo significava ‘questione morale‘”.


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