Morte De Masi, l’addio a un simbolo della lotta alla ‘ndrangheta
Morto a 92 anni l’imprenditore visionario che si è battuto contro la ’ndrangheta: Peppe De Masi. I funerali nella sua Rizziconi
Il gigante si spegne nel corpo minuto di un anziano ormai consumato dalla malattia e dalle fatiche dei suoi novantadue anni. Peppe De Masi spira al primo sole di un giorno d’estate, nella sua casa di Rizziconi, il paese della Piana di Gioia Tauro dal quale non volle fuggire, nonostante gli attentati e le minacce della ‘ndrangheta. Accanto a lui i figli: Nino, il maggiore, imprenditore sotto scorta, che ha ereditato la tempra e le battaglie del padre; Michele e, poi, Sara, Caterina, Graziella; la moglie Lina, compagna di una vita, architrave di una famiglia che rappresenta un simbolo dell’imprenditoria onesta e della resistenza civile alla protervia delle cosche; quindi i nipoti, tanti, in lacrime.
L’INTERA CALABRIA IN LUTTO
Una casa, in lutto. Una regione intera, in lutto. Almeno la parte di essa che non dimentica chi è stato Peppe. «Un simbolo di resistenza alla ‘ndrangheta… Sì, ma io, così come i miei fratelli, vorrei che mio padre non fosse ricordato solo per questo – spiega Nino De Masi –. È stato un imprenditore davvero visionario, che con rettitudine, onestà, senza mai scendere a compromessi, è partito dal niente, dalla terra, ed è diventato uno dei più importanti imprenditori della Calabria, rivoluzionando la meccanica agricola ed esportando le macchine col suo nome in tutto il mondo. E poi… Era nostro padre».
Nato a Cittanova il 20 dicembre del ’32, Peppe De Masi risulta registrato all’anagrafe l’1 gennaio del ’33. Visse un’adolescenza complicata, in una Calabria dominata dai signorotti delle campagne e segnata dalla guerra. Bracciante, garzone e apprendista, divenne un abile meccanico. Investì i suoi modesti risparmi in una piccola officina che col tempo, faticosamente ma progressivamente, crebbe, trasformandosi in un centro di produzione e rivendita di macchine agricole. Senza mai scendere a compromessi, anzi, sfidando apertamente le cosche, l’impresa De Masi divenne capofila di un vero e proprio gruppo, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70.
DE MASI BERSAGLIO DELLA ‘NDRANGHETA E L’INIZIO DELLA LOTTA
Mentre i clan uccidevano Rocco Gatto a Gioiosa Jonica e l’industria dei sequestri di persona mieteva centinaia di ostaggi che mai sarebbero tornati a casa, Peppe De Masi diveniva un bersaglio. Le sue case, le aziende, colpite da bombe e incendi dolosi. Perfino i suoi figli rischiarono di morire: Graziella, la più piccola, undici anni, e Michele, neppure maggiorenne, sopravvissero miracolosamente a due diversi attentati dinamitardi.
Nel 1990, provato dalla più devastante rappresaglia delle cosche a cui non intendeva piegarsi pagando il pizzo ed in una Calabria prigioniera di una cappa d’omertà, Peppe De Masi andava in tv: una delle sue case era stata letteralmente rasa al suolo da un raid terroristico-mafioso, così in diretta al Tg2 annunciava che avrebbe chiuso la sua azienda per mafia. La sua clamorosa denuncia contro i clan della Piana di Gioia Tauro provocò una immediata reazione da parte del Ministero dell’Interno e, per la prima volta, finì sotto scorta, assieme a tutti i componenti della sua famiglia.
Sostenuto dai suoi operai, riaprì i cancelli dello stabilimento e, contestualmente, chiese e ottenne la revoca del dispositivo di protezione che gli impediva di condurre una vita normale e che non considerava affatto un privilegio. Nel corso degli anni rifiutò sempre di pagare il pizzo e aiutò le forze dell’ordine a procedere ad arresti in flagranza di reato attraverso la consegna controllata di denaro che il clan avrebbe inteso estorcergli. Assieme al figlio Antonino, tornò sotto protezione nel 2013, quando 47 colpi di kalashnikov furono esplosi contro la Global Repair, una delle aziende del gruppo De Masi con sede a ridosso dell’area portuale di Gioia Tauro.
GLI ULTIMI ANNI DI DE MASI
Provato dall’età, ha vissuto gli ultimi anni della sua vita nella Rizziconi che non ha mai voluto lasciare e che, nonostante le battaglie e, talvolta, la solitudine, ha sempre amato profondamente. La sua storia è stata raccontata in diversi programmi televisivi di successo e da alcuni tra i più importanti giornalisti italiani e internazionali, oltre che nel libro “Inferi – La storia vera di un sopravvissuto alla ‘ndrangheta”, l’autobiografia del figlio Nino, pubblicata da Compagnia editoriale Aliberti nello scorso mese di febbraio.
«Non era un uomo come gli altri – si legge in “Inferi” –. Per amarlo, bisognava andare oltre. Oltre gli orpelli e il manierismo, oltre le gradazioni di colore e le scale di grigio. Per mio padre esistevano solo il bianco e il nero, ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, il tono forte o il silenzio. Mezze misure, sfumature, non avevano albergo nella sua vita. Faticai, io adolescente, a comprendere la sua essenza; caspita se faticai, ma alla fine ci riuscii. Gli altri vedevano in lui solo una parte di ciò che era: il genio, l’accigliato, il burbero, il principale, quello che s’è fatto da solo. Io, tutto: un gigante, dalla impenetrabile armatura e, sotto l’armatura, un magma di ingegno, forza, audacia, che spazzava via tutto il resto».
I funerali di Giuseppe De Masi saranno celebrati domani pomeriggio (21 luglio 2025), alle 17, alla Casa di Nazareth di Contrada Badia a Rizziconi, dove la camera ardente sarà allestita sin dalle 9 del mattino.
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