Montanari: “Useremo la customer satisfaction per le attività culturali. L’accusa di incoerenza? Una farsa”
Genova. Valutare il ritorno di ogni attività, dagli eventi estemporanei all’offerta civica permanente, per non trovarsi a spendere molti soldi in cambio di pochissimi benefici sociali. È questa la priorità di Giacomo Montanari, storico dell’arte, nominato in extremis assessore alla Cultura della giunta Salis dopo anni di esperienza nell’organizzazione dei Rolli Days e nella valorizzazione del sito Unesco, gli ultimi tre alla guida del Tavolo della Cultura del Comune sotto la giunta Bucci.
Si aspettava di essere chiamato in questo ruolo?
Francamente no. Ne sono stato molto lusingato e ho accettato con l’ottica di fornire un servizio su un settore importantissimo per i cittadini.
Come stanno andando i primi giorni di lavoro?
È un’acclimatazione non semplice, è un modo molto diverso di lavorare naturalmente. L’importante è trovare immediatamente una sinergia con i colleghi, anche della giunta, e con l’idea di modello su cui lavorare. Sono momenti di revisione di tutti i dossier che sono sul tavolo, ci prepariamo a entrare nel vivo delle cose il prima possibile.
Lei è stato subito accusato di essere incoerente, termine usato da Ilaria Cavo, perché fino a poco tempo fa era coordinatore del Tavolo della Cultura sotto una giunta di colore politico opposto. Come risponde?
Credo di non dover rispondere nulla, nel senso che c’è una enorme differenza tra il lavoro che ho fatto da tecnico, chiamato come esperto a occuparmi di una cosa molto precisa, e il ruolo di assessore che ha una funzione di indirizzo politico, di strategia e di responsabilità. L’incoerenza non so bene dove stia. Forse un professionista che ha ampie capacità dovrebbe rifiutare tutti gli incarichi per chi non ha simpatie politiche simile alle sue? Mi sembrerebbe veramente farsesco. Ecco, non è la nostra realtà, non è il mondo attuale.
Qual è la prima cosa su cui lavorare?
Anzitutto avere la contezza che tutto quello che facciamo a livello culturale ha un impatto sui cittadini. Dobbiamo essere sicuri che le attività sostenute dell’amministrazione cambino in meglio la loro vita, la loro percezione del patrimonio culturale ad ampio spettro e anche l’accesso al patrimonio, perché uno dei problemi dell’Italia non è tanto la presenza degli istituti culturali, quanto invitare le persone a farvi ricorso.
Ce lo spieghi meglio.
Vorremmo introdurre una modalità di valutazione di impatto degli eventi culturali. Dobbiamo pensare a sistemi per vedere quanto gli investimenti che facciamo sono positivi, negativi o neutri. Non si tratta solo di una questione costi/benefici, ma soprattutto di exit sociale.
Ma come si fa a valutare oggettivamente parametri non economici?
L’indicatore più chiaro è la customer satisfaction, dando la possibilità di aderire a un questionario di gradimento servizi ricevuti. Questo può essere fatto ad hoc sulle attività culturali, ad esempio i Rolli Days, su una mostra, ma anche a ciclo continuo monitorando ogni sei mesi biblioteche e musei. In questo modo riusciamo a capire se c’è qualcosa che non funziona, ad esempio se promuovessimo attività con costi ingenti che però non coinvolgono i cittadini.
Si riferisce a Genova Jeans?
Quello non è un progetto della direzione Cultura, ma credo che il principio valga per tutte attività che si svolgono sul territorio. Il rischio è che, promuovendo quelle che hanno impatti molto limitati e controversi con sbilanciamento di risorse, si crei un sistema di sfiducia da parte dei cittadini
Il modello di riferimento è quello dei Rolli Days?
L’idea è ottimizzare tutto ciò che esiste sul territorio, renderlo accessibile al cittadino perché ne riconosca il valore e la proprietà condivisa.
Lei spesso si è opposto a una visione di cultura come prodotto da vendere. C’è qualcosa a Genova che va cambiato in questo senso?
Io dico che si deve fare attenzione: percepire le risorse culturali come risorse ad esaurimento, come un giacimento di petrolio da sfruttare, può minare la conservazione dei beni che ci sono stati affidati, materiali e immateriali. Questo monito rimane soprattutto per me, non credo ci sia da demonizzare nulla, ma l’indirizzo è molto chiaro. È la cultura di qualità che crea le condizioni per essere percepita come risorsa turistica, non viceversa. La cultura ha il dovere di indirizzare la gestione dei flussi turistici con indirizzi atti alla sostenibilità. Il problema è quando il rapporto si inverte, allora si rischia la desertificazione culturale e sociale: è quello che stava succedendo a Barcellona. La cultura deve essere anzitutto per i cittadini.
Servono soluzioni come il numero chiuso?
Il numero chiuso è l’extrema ratio: quando i buoi sono scappati si va a chiudere la stalla. Alle Cinque Terre le misure applicate sono state fallimentari: quando metti in testa alle persone che quello è l’unico posto dove andare, ormai il danno è fatto. A Venezia, non sapendo che pesci pigliare, hanno introdotto un biglietto per entrare in città: ma allora vuol dire che la città stessa è lo spettacolo e le persone non esistono più. Stiamo perdendo il senso delle cose. Ovviamente negli spazi chiusi deve esserci sempre un limite di portata, come al cinema.
Eventi di massa come il Tricapodanno rientrano nella vostra visione?
Per me non esistono l’intrattenimento per le masse e la cultura per le élite, ma la possibilità di attività culturali accessibili a tutti, piacevoli, divertenti, senza per forza inseguire paillettes e soubrette. Non è detto che una manifestazione gioiosa, vitale e vibrante debba essere una baraonda, può essere qualcosa di diverso.
Va cambiata la governance di Palazzo Ducale?
Non ho ancora strumenti per dirlo. È facoltà della sindaca, non spetta a me deciderlo. Uno dei primissimi appuntamenti in agenda è con la direttrice Bonacossa, insieme faremo un lavoro importante per città. Fiducia a chi c’è, fino a prova contraria.
Ma che programmi avete per quel contenitore?
Contenitore ma anche contenuto: è il palazzo simbolo della città, ci sono lavori Pnrr sulla Torre Grimaldina che ulteriormente veicoleranno il concetto che già di per sé è un luogo pieno di senso. Pensiamo alla Cappella del Doge, le sale del Maggiore e Minor Consiglio, le statue dei Doria: è ricco di elementi spesso trascurati. Tornare a raccontare il palazzo, in sinergia con l’apparato transitorio, secondo me è un dovere da rispettare per il futuro.
Per il bando a sostegno degli eventi riuscirete a garantire la piena copertura di 400mila euro?
Aspettiamo la variazione bilancio di luglio, sono confidente che ci sarà la possibilità di confermare la cifra.
Ma la strategia funziona o va cambiata?
Il metodo è corretto: non un finanziamento a pioggia ma un bando competitivo con forme di sostegno coordinate e continuative agli operatori del territorio con un profilo di valutazione della qualità e dell’aderenza alle politiche culturali dell’amministrazione. Dall’altra parte erogare risorse in maniera incerta, sia a livello cronologico che di entità, a volte crea più problemi di quelli che risolve. L’obiettivo è ridurre l’erogazione unitaria e trovare più finestre con importi minori, mantenendo sull’anno l’impegno economico ma in più tornate. L’importante sarebbe riuscire ad agganciare le aperture dei bandi a date ristrette per non vederle slittare ad esempio a causa delle elezioni.
Che fine farà il Museo della Città alla Loggia di Banchi?
Per la loggia l’obiettivo è sbloccare l’impasse e trovare la soluzione migliore, condivisa con Compagnia di San Paolo e ministero della Cultura. Io vorrei riaprirla come area archeologica, ma anche come spazio permeabile per eventi temporanei e musicali, per la sociaità e la vita di quartiere, uno spazio che si apra al territorio, a Palazzo Senarega, alla visuale di piazza Banchi e via degli Orefici, in sinergia col patrimonio monumentale dell’area buffer del sito Unesco. Sicuramente non sarà il museo dei musei, ci sono spazi come il Museo di Sant’Agostino che possono più efficacemente assolvere quella funzione narrativa.
A proposito di Sant’Agostino, a che punto siamo con la riapertura?
Ciò che non si è capito è che l’esposizione vista nella chiesa è volutamente parziale e temporanea, nell’ottica di affidare la riqualificazione integrale del complesso. Per la prima volta sarà possibile il restauro integrale della chiesa, c’è un finanziamento importante con fondi Pon. La riapertura totale del museo vedrà cambiare l’esposizione. Non sarà un lavoro breve, tutti i lavori di qualità richiedono tempi lunghi, cura e dialogo. Ma l’impegno è comunicare alla città quello che sta avvenendo.