Sardegna

Monsignor Baturi: “Sant’Efisio è l’occasione per riconoscersi in festa” – Cagliaripad.it

(Foto credit: Radio Kalaritana)

Quella di Sant’Efisio è una festa che abbraccia un intero popolo e che ha a che fare, fortemente, con la devozione e la preghiera. L’Arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, ha iniziato a vivere la celebrazione durante la pandemia, nel 2020, in un contesto surreale quanto profondamente intenso. Nel tempo ne ha scoperto le tradizioni, i colori, il profumo e il grande impegno di un popolo che si riconosce in una storia significativa.

Ai microfoni di Cagliaripad, l’Arcivescovo racconta la bellezza della festa, le sue emozioni personali e fa una riflessione sull’impatto che Sant’Efisio ha nelle persone, credenti o meno.

Come ha avuto modo di vivere la festa in questi anni?

Sono arrivato nel gennaio 2020. La prima festa è avvenuta durante il primo lockdown. È stato un ingresso particolare. Tutti ricordiamo quell’edizione silenziosa, in un clima surreale però bellissimo. Ho vissuto umanamente la spoliazione della festa da tutti suoi caratteri visivi e sonori. Ma anche di essenzialità e preghiera. Indimenticabile la scena di Sant’Efisio che attraversa le strade solitarie di Cagliari. E poi a Nora la preghiera che abbiamo elevato a Dio per sua intercessione per proteggerci dalla pandemia. Man mano poi la festa ha ripreso vigore. Ciò che più mi ha colpito è stata la partecipazione estetica dei sardi. I colori, i suoni. E la grande devozione che diventa compagnia. Desiderio di accompagnare Sant’Efisio nel luogo del martirio. Sembra come un momento in cui Cagliari e la Sardegna mostrano se stessi. Nella ricchezza dei suoi costumi. In una volontà d’identità che ha sempre a che fare con la fede di chi ha dato la vita, e di chi chiede di dare la vita e i nostri sforzi per un mondo migliore, per una Chiesa più viva.

Quanto sono importanti queste tradizioni?

Sono importantissime. Sono tradizioni che conservano la memoria di un popolo. È nella capacità di questa memoria che possiamo intrecciare l’anima di un popolo con l’annuncio del Vangelo. Dal punto di vista cristiano sono occasioni straordinarie. In cui l’annuncio della fede accade attraverso un popolo che riconosce nel Vangelo la matrice del significato del proprio vivere. Faccio l’esempio dei gesti che vengono ritualizzati, dei costumi che sono fissi. È come se il popolo inserisse una propria creatività personale in una trama però antica. Che deriva da tante generazioni. L’altro aspetto che mi colpisce è l’attraversamento delle città e della costa verso Nora.

Ovvero?

Sono tante comunità che sembrano darsi il cambio. Che si inseriscono in un’unica processione, affidando l’uno all’altro la fede, il simulacro, le reliquie di Sant’Efisio. C’è una bellissima espressione di Papa Giovanni Paolo II che dice che “la felicità popolare deriva dal felice incontro tra il Vangelo e l’anima di un popolo”. Io, da non sardo, respiro questo felice incontro tra l’anima dei sardi e della sua cultura e il Vangelo, che deve essere continuamente riletto alla luce delle evenienze di oggi.

Quando si parla di Sant’Efisio si fa riferimento al rito, alla devozione e alla preghiera. Però è una celebrazione che riesce a coinvolgere anche persone che con la fede hanno un rapporto distante. Come mai?

Il Vangelo ha dato valore e significato a tante espressioni del nostro popolo. Parla a tutti. È un evento che non si può scindere da ciò che avviene. Dalla processione allo scioglimento del voto, dal canto in sardo al ritorno del Santo a Cagliari. Non possiamo sganciarlo dalla sua radice religiosa. La testimonianza di un Santo è quella di chi ha dato la vita per Gesù Cristo. Non ha fatto folklore. Il punto è duplice: è un esempio quello di Sant’Efisio che si lega al popolo che gli rende omaggio a distanza di tanti secoli e nella memoria di tante grazie che parla a tutti. Tutti si possono riconoscere. In cui tutti possono pensare che è un fattore di umanizzazione, di crescita, rispetto della dignità dell’uomo, identità culturale, di appartenenza a una comunità solidale. Ha una radice religiosa, ma gli effetti sono buoni per tutti. Tutti possono riconoscersi. Da questo punto di vista funziona rispetto ad altre feste una sorta di nostalgia. È talmente radicata nel nostro popolo, che anche i non credenti lo guardano con nostalgia. Pensando che lì c’è un segreto, un valore da guardare con più attenzione.

C’è un momento della Festa che ricorda con maggior piacere?

Quello del 2020 fu una festa drammatica ma bellissima. Spoglia di tanti aspetti, ma eloquentissima. La gente aveva bisogno di parole di speranza, parole colme di significato di fronte ad una pandemia che poneva davanti ai nostri occhi la paura della morte e della malattia. E dunque della fragilità. Tanti altri aspetti che fanno piacere, che danno una gioia vera e sincera, sono quelli dell’1 mattina. Sicuramente. Vedere la processione, i bambini, i colori, i modi in cui i fiori vengono sparsi. È l’occasione per riconoscersi in festa. Il Cristianesimo educa alla festa. Deve educare alla gioia e all’accoglienza. Un altro momento che mi colpisce tanto è il rientro del 4 notte, in una città attenta, ma più silenziosa. E lì si nota che ancora vita vissuta, piena di significati visibili. In cui c’è la gioia di partecipare. Dobbiamo custodire il valore di questa festa senza cedimenti folkloristici.

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