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Monica Zanetti: «Il sogno di costruire auto e i complimenti di Enzo Ferrari. Ragazze, seguite sempre le vostre ambizioni»

È l’entusiasmo la prima cosa che colpisce di Monica Zanetti, pioniera nell’industria automotive, che ha lavorato nel settore della meccanica in Ferrari e Maserati. Poi viene l’ottimismo. Il suo racconto parte da quando, ragazzina, chiese di iscriversi alla scuola professionale a Maranello. Lei voleva essere un meccanico e ci è riuscita. Da qui partirà certamente anche sul palco del WeWorld Festival dove sarà ospite domenica 25 maggio con Carolina Capria, Beatrice Dondi e Marta Migliosi nell’incontro Dream Gap: ribelli, sognatrici, protagonisti.

Monica Zanetti «Il sogno di costruire auto e i complimenti di Enzo Ferrari. Ragazze seguite sempre le vostre ambizioni»

Il dream gap, il divario fra il sogno e la possibilità di realizzarlo che è più ampio per le ragazze, lo ha sentito sulla sua pelle, ma questo non l’ha fermata: il sogno per definizione non deve avere limiti. «Ancora adesso vengono a conoscere noi ex Ferrari, noi che abbiamo lavorato in officina quando c’era Enzo Ferrari. Vogliono incontrarci per sapere com’erano le giornate, cosa facevamo in officina in quel periodo. Io dico sempre che non bisogna fare le cose per apparire, ma bisogna amarle, credere in quello che si fa. La fabbrica non era nostra, ma noi davamo tutto perché noi la sentivamo nostra».

Come è arrivata in Ferrari?
«Tutta la mia famiglia è di Maranello. Mio zio era un meccanico in Ferrari e seguiva anche le corse. Io ero affascinata dai suoi racconti già a 5 o 6 anni. Dicevo: “Mamma mia, io vorrei fare queste cose”. La presenza della Ferrari a Maranello era fortissima negli anni Settanta, i collaudatori giravano nelle nostre strade. Sembravamo quasi tutt’uno. Il commendatore, Enzo Ferrari, interveniva in prima persona se c’era bisogno di qualcosa in paese. In questo paesino di campagna ha pensato bene di fare questa scuola superiore (che adesso è l’Istituto Superiore Ferrari ndr), un tecnico professionale. Per una donna entrare negli anni Settanta non era cosa immediata. Quando ho scoperto che c’era un corso femminile, era già tutto pieno, ma io ho fatto di tutto per entrare. Ce l’ho fatta: torneria, saldatura, lavoro con le frese».

Dalla scuola si passava direttamente alla fabbrica?
«L’azienda chiamava quando c’era necessità. Io avevo buona manualità e il mio nome è stato fatto per l’inserimento. Ha contato anche la passione che dimostravo. A Natale del 1978 mi hanno detto che nel 1979 avrei iniziato. Potevo farlo solo allora, nell’anno in cui dovevo compiere i 16 anni. Ero la donna più felice di sta terra perché non mi sembrava vero di poter veramente andare a lavorare alla Ferrari. C’erano altre donne in azienda, ma non nel settore della meccanica. I primi passi li ho mossi nella carrozzeria ed ero l’unica anche lì. C’era da fare tanta fatica fisica».

Nessuno le ha mai detto sul lavoro: “Sei una donna non puoi farlo”?
«Quando uno ha un sogno e vuole fare quello, le vede le difficoltà, certo. E sono tante, ma io sono andata oltre. Certamente hanno detto: “Adesso questa qui fa la fine delle altre”. Pensavano: “Tra un po’ smette, tra un po’ se ne va, non resiste, non ce la fa”. Io avevo però una passione incredibile come ce l’ho tutt’ora. Io sto male se non sto tra le macchine e in pista. Sono stata fortunata? Forse, ma l’ho anche voluto fortemente. Se trovavo delle difficoltà io le vincevo, perché volevo fare solo quel mestiere».


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