migranti tornano a Caracas in cambio di prigionieri politici. Ma non c’è Alberto Trentini
L’orologio dell’aeroporto internazionale “Simón Bolívar” di Maiquetía segna le 13: un aereo della Cia, modello Gulfstream, matricola N173PA, atterra sulla pista semivuota, custodita dal sole e dai militari venezuelani. La missione: riportare indietro dieci ostaggi statunitensi, già reclusi a El Rodeo I, più alcuni prigionieri politici trattenuti nel Paese sudamericano. L’elenco dei nomi, l’ultima verifica: ci sono tutti, si parte. Il cenno di conferma sblocca la partenza di altri tre voli: due da El Salvador, con 232 migranti venezuelani dal Cecot, il Centro di confinamento del terrorismo, e l’altro procedente da Houston con sette minori separati dalle loro famiglie durante le deportazioni. “Oggi abbiamo consegnato il 100% dei cittadini venezuelani detenuti nel nostro Paese accusati di far parte dell’organizzazione criminale Tren de Aragua (Tda)”, ha fatto sapere su Instagram il presidente salvadoregno, Nayib Bukele, facendo riferimento allo scambio con Caracas in un video che mostra i migranti ammanettati mentre salgono sull’aereo. Giunge così a termine la complicata trattativa fra il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, e il governo venezuelano presieduto da Nicolas Maduro. È stato lo stesso Rubio ad annunciare che “tutti gli statunitensi ingiustamente detenuti in Venezuela sono stati rilasciati”.
Poteva essere la volta buona per Alberto Trentini, il cooperante veneto a El Rodeo I da otto mesi, del quale si era tenuto conto nell’elenco preliminare, dove gli stranieri avevano corsia preferenziale. Inoltre la speranza era cresciuta la settimana scorsa, quando un gruppo di agenti si era recato al penitenziario per fotografare i prigionieri politici reclusi lì dentro. Ma tant’è: bisognerà ancora attendere.
LA TRATTATIVA – I voli sono stati ricevuti nelle rispettive capitali, Washington e Caracas, che escludono l’eventuale normalizzazione dei rapporti bilaterali. Anzi, fonti Usa rivendicano che lo scambio di prigionieri sia “costato meno di quelli precedenti” – allora gestiti dall’inviato diplomatico Ric Grenell, rivale interno di Rubio – ribadendo così la linea di massima pressione del Dipartimento di Stato contro il Venezuela. Nessuna concessione. Resta revocata la licenza estrattiva alla petrolifera Chevron e rimangono in piedi le sanzioni Usa su alcuni funzionari governativi e quelle annunciate poche ore fa contro i membri del Tren de Aragua.
Qualche settimana fa la trattativa era in stallo, secondo il New York Times, a causa delle divergenze interne tra Rubio e Grenell, ma l’11 luglio il quotidiano spagnolo El País riportava il buon esito dei colloqui, che hanno coinvolto anche diplomatico Usa John McNamara, già impegnato a Bogotà. La trattativa è nata a fine aprile su iniziativa del presidente salvadoregno Nayib Bukele. Pubblicamente Caracas respingeva la proposta, giudicata come “cinica” dal procuratore generale Tarek William Saab, mentre in segreto Maduro accettava l’avvio dei colloqui. Il procuratore generale chiedeva anche una prova di vita dei 252 migranti detenuti a El Salvador e sottoposti a sparizione forzata secondo le denunce dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Volker Türk, che a sua volta ha criticato le condizioni detentive dei prigionieri politici trattenuti in Venezuela.
CHI RIMANE – Nelle stesse ore, a Caracas, il Comitato per la libertà dei prigionieri politici del Venezuela (Clippve) si è radunato davanti alla sede della Nunziatura apostolica per chiedere la mediazione del Pontefice dinanzi alle autorità venezuelane per “il rilascio immediato e senza condizioni” dei loro familiari. Tra le richieste del Comitato vi sono anche la “autorizzazione alle visite dei familiari senza restrizioni arbitrarie”, soprattutto nel caso di donne e adolescenti detenuti, la “fine dell’isolamento prolungato“, fino a undici mesi in alcuni casi, a cui molti prigionieri sono sottoposti, la “garanzia di cure sanitarie” e “servizi essenziali”, specialmente ai più vulnerabili.
In precedenza la Conferenza episcopale venezuelana (Cev) ha lanciato un appello al dialogo quale strada per “raggiungere accordi in mezzo alla crisi politica del Paese”, facendo riferimento ai prigionieri politici e in particolar modo ai “giornalisti e comunicatori” ancora detenuti verso i quali i vescovi hanno espresso la propria solidarietà. La sera precedente le stesse famiglie hanno tenuto una veglia davanti alla sede della Procura generale portando con sé i ritratti dei loro figli e parenti detenuti, in cerca di risposta da parte delle istituzioni venezuelane. Preoccupa soprattutto la condizione di 51 detenuti di cui si sono perse le tracce, secondo l’ong Foro Penal. In qualche misura il loro dramma è simile a quello dei familiari dei migranti al Cecot che a giugno si erano recati in El Salvador per vedere i loro cari e incontrare il presidente Bukele, ma sono tornati a mani vuote. Allora lo scambio sembrava impraticabile, scartato dagli esperti e dalla stampa, ma ora è una realtà entrata nei manuali e da cui prendere esempio.
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