Migranti in Albania, il Viminale: “Andranno tutti riportati in Italia, da lì niente rimpatri”. Ecco perché
Il Re è nudo, e lo ammette. I 40 migranti trasferiti venerdì in Albania andranno “tutti riportati in Italia prima di essere rimpatriati”. Lo conferma il Viminale precisando quanto anticipato dal ministro Matteo Piantedosi dopo l’approvazione del decreto del 28 marzo che ha aperto le porte di Gjader agli irregolari in attesa di rimpatrio, già trattenuti nei Cpr in Italia. “In base alla nazionalità e agli accordi con i Paesi d’origine”, aveva detto il ministro, “alcune persone andranno prima riportate in Italia”. Ora che le persone sono state selezionate e traferite, invece, il Viminale fa sapere che tutte e 40 dovranno essere riportate in Italia. Perché, è cosa risaputa, con l’Albania non c’è un accordo per l’esecuzione delle espulsioni, senza il quale nessuno può essere rimpatriato da un Paese terzo. In altre parole, una giostra inutile e costosa con la quale il governo tenta di salvare la faccia dopo il fallimento del Protocollo da 700 milioni di euro per esaminare in Albania le domande d’asilo dei richiedenti provenienti da Paesi “sicuri”. Col rischio, ancora una volta, di andare incontro a discriminazioni censurate dalla Costituzione.
“Succede questa trafila di spostamento anche nei passaggi dai Cpr ai luoghi d’imbarco per il rimpatrio per le persone trattenute nei centri italiani, che vanno dal confine con la Slovenia fino a Palermo: non vedo perché appassionino questi trasferimenti dall’Albania che in termini chilometrici è persino più vicina ad alcuni luoghi d’imbarco di tanti altri posti di Cpr in Italia”, ha provato a smarcarsi Piantedosi, ancora oggi a Napoli dopo la riunione dei Paesi MED-5. Ad “appassionare” l’opinione pubblica è il fatto che l’inutile farsa comporta, ad esempio, un trasferimento a bordo della Nave Libra della Marina Militare: 80 metri per 200 posti. O le indennità di trasferta da riconoscere alle decine di funzionari impegnati nelle operazioni. Nulla che appassioni il ministro: “Non ci sono diseconomie visibili, tangibili, se non quelle concettuali, ideologiche”. E poco conta se nemmeno il rimpatrio dall’Italia è certo. Perché parte dei 40 trasferiti va ancora identificata e per farlo serve la collaborazione del Paese d’origine, che non sempre è scontata, anzi. Non a caso appena un quinto delle persone con un ordine di espulsione, dicono i dati del Viminale per il 2024, vengono effettivamente espulse. Perché gli accordi di riammissione coi Paesi d’origine sono pochi e l’unico che funziona davvero è quello con la Tunisia. Metà dei rimpatriati sono tunisini, ma nel loro caso bastano i charter organizzati dal Viminale in Sicilia e un’ora di volo.
Sulla nazionalità dei 40 trasferiti a Gjader il ministero mantiene il riserbo. Sul modo in cui sono stati selezionati, invece, Piantedosi ha detto che “sono tutti e 40 persone oggetto di provvedimento di trattenimento in quanto, come prevede la legge, alla condizione di irregolarità amministrativa si aggiungeva una valutazione di pericolosità”. E che tra le persone trasportate “ci sono 5 casi di condanna per violenza sessuale, un caso di tentato omicidio, reati contro patrimonio, furti, resistenza a pubblico ufficiale”. Ma ci sono anche persone senza alcun precedente penale, riferisce la delegazione del Tavolo asilo e immigrazione che sabato pomeriggio le ha incontrate nel centro. Persone che non sono riuscite a rinnovare il permesso di soggiorno, come pure capita di trovarne nei Cpr italiani. E tuttavia, cosa ha a che fare tutto questo con la temporanea delocalizzazione in Albania? Niente. La profilazione criminale, infatti, non annulla il rischio di discriminazioni censurate dall’articolo 3 della Costituzione, che sorge quando la legge “senza un ragionevole motivo” prevede un trattamento diverso tra coloro che si trovano in “eguali situazioni” (Sentenza Corte Costituzionale n. 15/1960).
Del resto, nulla si precisa sui criteri di scelta delle persone da trasferire in Albania: il decreto 37/2025 non dice nulla. E non è tutto: “Le modalità di convalida e dell’esercizio del diritto di difesa sono ben diverse, e deteriori, rispetto a quanto avviene per le persone trattenute in Italia”, ha denunciato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che rileva diversi profili di incostituzionalità. “Quali sono i criteri di scelta, in base a quali norme sono individuati e chi la effettua? È il ministero ad assumere questa scelta e ad aggiungere la relativa responsabilità?”, domanda l’avvocato Dario Belluccio. Perché “nessuna norma di legge o criterio di opportunità verificabile oggettivamente consente di sacrificare una persona sull’altra e così determinare questa incredibile violazione dei suoi diritti. Quelle persone vedranno impedite le visite da parenti, non avranno modo di incontrare gli avvocati, con quella scelta il ministero determina autonomamente il cambiamento del giudice che dovrà decidere sulle sorti del caso”. In violazione di principi costituzionali così che, proprio perché insensata, l’operazione diventa crudele.
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