Michelini: “I docenti italiani danno l’anima, ma per fisica e chimica in Italia serve più formazione”

C’è una convinzione che Marisa Michelini ha ripetuto negli anni in convegni, articoli e progetti: non si può insegnare fisica come si insegnano le date della storia. Non si può spiegare il moto uniformemente accelerato nello stesso modo in cui si ripete una poesia a memoria. Eppure, in Italia, è proprio questo che avviene. O meglio, è questo che il sistema formativo tende a riprodurre, senza strumenti e senza tempo per mettere in discussione un modello inadeguato.
Un appello: “Gli insegnanti danno l’anima, ma non basta”
In un’intervista all’ANSA, Michelini ha usato parole molto nette. Ha detto che gli insegnanti italiani credono profondamente nella loro missione e che per il loro lavoro “danno l’anima“. Ma ha anche aggiunto che nel caso delle discipline scientifiche – come fisica e chimica – questo non basta: “In Italia non hanno accesso alla ricerca didattica e vengono fatti formare in modo troppo rapido e superficiale”.
Non è un’accusa, è una constatazione. E proprio da questo squilibrio parte l’iniziativa della Fondazione I Lincei per la Scuola, che Michelini ha contribuito a organizzare, in programma il 4 e 5 settembre a Roma. L’obiettivo è chiaro: ripensare l’insegnamento delle materie scientifiche, restituendogli complessità, strumenti, ricerca. Perché, sottolinea la docente, “non basta una semplice trasmissione delle nozioni, ma è necessaria una costruzione personale della conoscenza da parte degli studenti”.
Dalla teoria alla pratica: centri, progetti, dottorati
Questo approccio, Michelini lo ha sostenuto anche con strutture e percorsi concreti. A Udine ha fondato il Centro Laboratorio per la Didattica della Fisica e l’Unità di Ricerca in Didattica della Fisica. È lì che sono nati moduli formativi per docenti, mostre didattiche, laboratori sperimentali. Ma soprattutto è da lì che è partito il primo dottorato italiano interamente dedicato alla didattica della fisica. Un segnale forte: la formazione dei docenti come terreno scientifico, e non come adempimento burocratico.
Michelini ha poi coordinato il progetto IDIFO, durato quasi vent’anni, che ha coinvolto decine di università italiane per unire orientamento, formazione e innovazione nella didattica delle scienze. Il suo lavoro si è allargato su scala europea, anche attraverso il GIREP, che ha presieduto per undici anni, e altri network di ricerca e consulenza, dal CERN ai board internazionali sull’educazione scientifica.
Il nodo culturale: “Perché non possiamo farlo anche noi?”
Tornando all’intervista all’ANSA, Michelini ha raccontato ciò che accade ogni anno in Slovenia, a pochi chilometri dal confine. Durante la prima settimana di settembre, tutti gli insegnanti vanno nelle università per aggiornarsi sui più recenti risultati della ricerca. “Perché non possiamo farlo anche noi?”, ha chiesto con semplicità. La risposta che si è data è altrettanto netta: “È un problema culturale, prima di tutto. Tutti si devono rendere conto che c’è bisogno di fare questa integrazione”.
In altre parole, non è solo un problema tecnico o normativo. È una resistenza che si annida nella forma mentis con cui si continua a considerare l’insegnamento: come applicazione di metodi preconfezionati, anziché come pratica riflessiva, critica, aperta. Una visione che Michelini contesta da tempo, proponendo invece di “fare quello che esiste in tutti i paesi e che in Italia si promette da anni”, ma che continua a rimanere incompiuto.
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