Veneto

“Mi succede di essere scambiata per borseggiatrice, cosa devo fare?”: l’assurda situazione veneziana

Lettere al Giornale.

“Mi succede ogni tanto essere scambiata per pickpoket.
Sono lavoratrice, nata all’ estero però con la cittadinanza italiana (la mia famiglia è italiana e vivono fuori).
Lo so che il mio accento è strano e anche il mio modo di vestire un po’ … diverso.
Non so come difendermi da questi attacchi, purtroppo…
In un gruppo di turisti, alcuni ragazzi mi hanno chiamato “Pickpoket!”nell’angolo della MIA CASA ed io, presa completamente di sorpresa da una situazione assurda e incredibile, non ho saputo che reazione avere…
Vi chiedo un articolo per sensibilizzare su queste situazioni e su come difendersi… bisogna oppure chiamare i carabinieri anche in queste situazioni?
Cosa i cittadini devono fare?

Venezia, città sotto assedio per i borseggiatori: quando la paura semplifica tutto nel pregiudizio.
Di Mattia Cagalli

La lettera giunta in redazione ha il tono mesto di chi si è trovato spiazzato davanti ad un’accusa imprevedibile e inaspettata: quella di sembrare “fuori posto”. La signora che ci scrive non è una ladra, ma viene scambiata per tale.
Non perché abbia rubato, ma per il suo accento straniero e l’abbigliamento “diverso”, magari “semplice”, o fuori dalle mode o dalle consuetudini. Così si sta creando un nuovo pregiudizio che, a Venezia – oggi più che mai stretta tra il turismo di massa e il dilagare della microcriminalità – sta diventando insidiosamente frequente.

La città lagunare, simbolo di bellezza e fragilità, sta vivendo attualmente questo paradosso: invasa quotidianamente da decine di migliaia di turisti, è diventata terreno fertile per bande di borseggiatori organizzati. Le segnalazioni fioccano, i video circolano sui social, e il panico serpeggia. L’allerta è altissima – e giustamente, perché il fenomeno è reale – ma questa tensione permanente finisce per trasformarsi, troppo spesso, in sospetto generalizzato. Non ci si limita più a segnalare comportamenti sospetti, ma si punta il dito contro chi sembra diverso. Ed è qui che il problema cambia forma e gravità.

La nostra lettrice racconta di essere stata accusata da un gruppo di turisti di essere una pickpocket, proprio sotto casa sua. Loro non la conoscevano, certo. Ma il suo modo di parlare, il suo stile personale, potevano assomigliare alla connotazione delle ladre vere, è ciò è bastato per far scattare l’allarme. Nessun furto, nessun comportamento anomalo. Solo un volto non conforme all’immagine – stereotipata – di una turista o della residente veneziana “autentica”.

In queste situazioni, la vittima del pregiudizio si ritrova disarmata. Come ci si difende da un’accusa che non nasce da un’azione, ma da un’impressione? L’appello è chiaro: “Cosa devono fare i cittadini?”. E la risposta non può essere solo tecnica (come chiamare i carabinieri), ma anche civile e culturale.

Cosa fare se si è accusati ingiustamente nella pratica?

In un caso del genere, chi viene accusato ingiustamente ha diritto – anzi, dovere – di chiedere l’intervento delle forze dell’ordine essendo assolutamente sconsigliabile tentare di risolvere la situazione da soli. Se possibile, senza esasperare la situazione, si può contattare i carabinieri (112) o la polizia locale (113). È fondamentale mantenere la calma, ma ribadire con chiarezza la propria innocenza e identità.

Ma soprattutto, è urgente educare cittadini e turisti al rispetto. La vigilanza contro i reati non deve trasformarsi in una “caccia alla diversità”. La sicurezza non si ottiene con lo sguardo sospettoso verso chiunque abbia un accento straniero o un look alternativo, ma con una cultura dell’osservazione consapevole, che distingue tra segni reali di pericolo e semplici differenze culturali.

Venezia deve difendersi dai borseggiatori, certo. Ma non può permettersi di perdere il suo volto più prezioso: quello dell’apertura, della convivenza, dell’identità molteplice. In una città che da sempre è crocevia di popoli e storie, chi “viene da altrove” non dovrebbe mai sentirsi fuori posto – tanto meno in casa propria, visto che a Venezia ci abita.

Mattia Cagalli


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