Lazio

Memoria nazista – il giorno in cui i nazisti bruciarono i libri…

Certo ricorderete – nel mitico Film di John Landis The Blues Brothers” (1980) – la scena in cui Jacke (Jhon Belushi) ed Elwood Blues (Dan Aykroyd) – a bordo della loro “Bluesmobile” (una “Dodge Monaco” nera del 1974, ex auto della Polizia) – si ritrovano all’interno di una lunga fila di auto bloccate, perché è in corso una manifestazione dei nazisti dell’Illinois. E un polizotto spiega loro che: “Quei figli di puttana hanno vinto il processo e fanno una dimostrazione”. “Quali figli di puttana?” – chiede Jacke Blues. E il poliziotto: “Quegli stronzi del partito nazista”. A questo punto, i due Fratelli Blues si guardano e: “Io li odio i nazisti dell’Illinois!”, dice Jacke, così la loro macchina parte e punta a tutta velocità il corteo nazista, i cui componenti finiscono tutti a bagnomaria nelle acque antistanti (https://youtu.be/kuTHbawv1SM).

Bene, ieri sul Quotidiano La Stampa di Torino, ho letto – e vi riporto – un aggiornamento, diremmo così odierno, di quella mitica battuta: “Io li odio i dazisti dell’Illinois!”.

“Lì dove si bruciano i libri, alla fine si bruciano anche le persone” (Heinrich Heine, 1797-1856, Poeta romantico tedesco)

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“Bruciatemi! Bruciatemi! Vi comando: bruciatemi!” (Bertolt Brecht, da “Il Rogo dei Libri”, 1933-1939)

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“L’idea che meglio esemplifica la loro natura è il rogo dei libri, libri che loro non erano stati in grado di scrivere.” (Heinrich Mann, 1871-1950, scrittore tedesco antinazista)

I Roghi di Libri

“Roghi di Libri” in tedesco si dice “Bücherverbrennungen”. Quei roghi, che non successero solo a Berlino ma anche in molte altre città della Germania nazificata, furono per il Ministro della Propaganda del Reich, Paul Joseph Goebbles (1897-1945), un ottimo modo per eliminare, con le fiamme,  quello che secondo lui era lo spirito maligno del passato.

Così ne scrive Jonathan Rose, Storico e Preside alla Drew University,del New Jersey (USA), in un suo Lavoro sulla Shoah: «La storia dei sei milioni è anche quella dei cento milioni. Questo, secondo i calcoli di uno storico delle biblioteche, è il numero di libri distrutti dai nazisti, in solo dodici anni, in tutta Europa, come è ovvio, si tratta di una stima assai approssimativa, che sarà probabilmente corretta con il progredire delle ricerche. Ma si può partire da una terribile certezza: lo sterminio di massa degli ebrei fu accompagnato dal più spaventoso sterminio letterario di tutti i tempi. Tutti gli storici del libro condividono la medesima premessa di base: nelle società acculturate, scritti e stampa sono i mezzi primari per la conservazione della memoria, per la diffusione delle informazioni, la divulgazione delle idee, la distribuzione della ricchezza e l’esercizio del potere. La prima domanda che gli studiosi si pongono riguardo ad ogni cultura è: in che modo ha preservato, utilizzato e distrutto i documenti? Dalla cultura del Puritanesimo nella Nuova Inghilterra alle cause della Rivoluzione francese al collasso dell’Unione Sovietica, questo nuovo approccio alla storia ha costretto a riconsiderare i meccanismi del passato; nel caso della Shoah, potrebbe aiutare anche a comprendere l’incomprensibile»

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In uno scaffale della mia Libreria ci sono solo i libri della Sellerio, la Casa Editrice nata nel 1969, a Palermo, grazie alla volontà di Elvira Sellerio. Dieci anni dopo nasce, da quella piccola ma prolifica Casa Editrice, la Collana intitolata “La Memoria”, diventata famosa e per i testi che raccoglie e per il colore della sua copertina sempre blu, dunque riconoscibilissima. E’ una Collana che amo particolarmente e che ogni tanto ci riserva l’uscita di alcune “chicche” imperdibili, come quella di cui oggi scrivo qui. Si tratta di “Bebelplatz, la notte dei libri bruciati” (2024), di Fabio Stassi, Classe 1962, scrittore e paroliere italiano di etnia arbëreshë (la minoranza linguistica albanese presente in Italia e stanziata appunto nella Piana detta degli Albanesi).

Il Romanzo di Stassi, attraverso un intreccio noir, parla anche di libri, ma di libri messi al rogo: attenzione non all’Indice, che è cosa della Chiesa di Roma, ma peggio, di libri ai quali è stato dato pubblicamente fuoco, esattamente 92 anni (e un paio di mesi) fa, da chi (le camice prima brune e poi nere dei nazisti) riteneva “degenerate” le parole che quei libri contenevano e dunque non degne, secondo loro, di essere lette e di avere un posto nelle Biblioteche, pubbliche o private che fossero.

Ma prima di inoltrarci nelle pagine del Romanzo di Stassi, occorre rinfrescarci storicamente la Memoria con qualche riga ulteriore di parole.

Il Nazionalsocialismo, già nel 1933, in quei primi mesi di governo legale (leggi ottenuto con il voto), aveva posto le basi per la dittatura e mosso quei primi passi che avrebbero portato alle tragedie degli anni successivi: Nel Gennaio del 1933, Hitler ottenne poteri speciali dal Parlamento, il 22 Marzo di quell’anno venne aperto il primo Campo di concentramento a Dachau (Monaco di Baviera)  e prese il via il boicottaggio dei negozi degli ebrei. Questi primi atti – che iniziarono a colpire direttamente le vite degli uomini che l’ideologia nazista considerava nemici della Germania – furono immediatamente accompagnati da  una prima “uccisione” simbolica, quella dei libri indesiderati.

Bücherverbrennungen”, i “Roghi dei Libri”, furono promossi dall’Associazione Nazionalsocialista degli Studenti Tedeschi e subito il Ministro della Propaganda Joseph Goebbels li appoggiò e coordinò, dandogli il massimo risalto propagandistico.  Così, a Berlino, nella notte del 10 Maggio 1933, vennero dati alle fiamme decine di migliaia di libri, 25mila Volumi nella sola capitale del Reich, davanti agli occhi di esponenti politici nazisti, Professori, studenti e altre migliaia di sostenitori del nazionalsocialismo.

Tra le opere date alle fiamme vi furono i libri dei massimi teorici ed esponenti letterari del socialismo, da Karl Marx a Bertolt Brecht, di autori stranieri quali Ernest Hemingway e Jack London, di scrittori tedeschi avversi al nazismo come Thomas MannErich KästnerHeinrich Mann ed Ernst Gläser. Vennero inoltre bruciate Bibbie e pubblicazioni dei Testimoni di Geova, la Biblioteca e gli Archivi dell’Istituto per la Scienza della Sessualità, colpevole agli occhi dei nazisti per le sue posizioni liberali nei confronti dell’omosessualità e della transessualità, e i libri di autori ebrei, tra i quali Franz KafkaArthur SchnitzlerFranz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig.

In quello che fu il maggior rogo di libri di sempre attuato nel mondo occidentale, venne bruciata tutta la cultura che i nazisti consideravano, per motivi politici e razziali, anti-tedesca: la lunga storia del fanatismo fascista (nato nell’Italia di Mussolini) aveva raggiunto nella Germania nazista il suo apice.

Rogo dei Libri, colpita anche l’Italia

La decisione nazista di mandare al rogo i Libri indesiderati, perché ritenuti nocivi per il carattere e la morale del popolo tedesco, alla fine comporrà un piccolo Atlante della Letteratura «dannosa e indesiderata» e annovererà anche la produzione letteraria di cinque scrittori italiani, anch’essa destinata alle fiamme dai nazisti: Pietro Aretino, il cantore della libertà rinascimentale; Giuseppe Antonio Borgese, cittadino del mondo e inguaribile utopista; Emilio Salgari, antimperialista amato in Sudamerica; Ignazio Silone, antifascista radicale, e Maria Volpi, unica donna della lista, disinibita narratrice del piacere e dell’indipendenza femminile.

Il viaggio che Fabio Stassi

Dunque, ora – dopo avere preso fiato – trasferiamoci a Berlino, nella città Capitale della Germania nazista. Una città nazista prima e una città divisa in due da un Muro, per 28 anni (1961-1989), poi.

Se vi incamminate per il suo centro e arrivate a Bebelplatz – la Piazza non lontano dal Teatro dell’Opera e dalla Cattedrale di Sankt-Hedwigs, la più antica Chiesa cattolica romana della città – camminando sul selciato finirete per mettere i piedi su una lastra di vetro. Se a questo punto abbassate lo sguardo, vedrete una enorme Libreria sotterranea, completamente vuota. È una Libreria che potrebbe contenere più di ventimila volumi e invece ha gli scaffali completamente vuoti e sotto vetro. Nessuno, in quella Libreria, può prendere o lasciare un libro, ma quell’impossibilità materiale è l’omaggio più forte all’importanza della Cultura (quella che si scrive con la “C” maiuscola) un monito a tutti gli esseri umani che ancora sperano di cambiare in meglio questo mondo malandato e spesso – più spesso di quanto ci si aspetterebbe ad essere cinici – inospitale e malvagio.

Quella che vedete, attraverso una lastra di vetro, si chiama The Library ed è l’installazione creata dall’artista israeliano Micha Ullman per ricordare la notte del 10 Maggio del 1933, quando nella Bebelplatz (al tempo di questa storiaccia chiamata Opernplatz), davanti a 40mila persone, vennero bruciati – come in tante altre Piazze tedesche – migliaia di libri “sgraditi” ai nazisti; libri saccheggiati nelle Biblioteche pubbliche e private di tutto il Paese. Un terribile rogo che voleva distruggere, insieme alle pagine di grandi poeti e scrittori, anche le idee libere e democratiche che viaggiavano, diremmo così, “a bordo” delle file di parole che quei libri contenevano.

E’ da lì che parte il viaggio che Fabio Stassi ha deciso di compiere (e di farci compiere) con il suo Romanzo e ancora in questa storiaccia di libri mandati al rogo troviamo il “Direttore” dell’”Orchestra nera”, Paul Joseph Goebbles (di cui ho già scritto) il quale su quella Piazza berlinese – davanti ad una folla in divisa bruna (ma anche formata da semplici cittadini tedeschi che poi, alla fine della guerra, magari, dichiareranno di non essere mai stati nazisti) composta soprattutto da ragazzi – parla dell’”arte degenerata” che ha “infettato” la Germania  e del fatto che fosse quindi, irrevocabilmente, giunta l’ora di distruggere, con il fuoco, quei libri dannosi per il morale e la tempra della gioventù tedesca e del Terzo Reich tutto. In quella notte berlinese il Ministro della Propaganda del Reich proclamerà inoltre che: «L’uomo tedesco del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo di carattere».

                                                 

Così del Romanzo di Fabio Stassi scrive Pina Bertoli sul suo Blog “Il Mestiere di Leggere” (https://ilmestieredileggereblog.com/2025/06/08/fabio-stassi-bebelplatz-la-notte-dei-libri-bruciati/):

“Il Romanzo di Stassi è un’opera che si insinua nelle pieghe della memoria storica e personaleunendo il fascino del giallo alla profondità della riflessione esistenziale.

Il romanzo ruota attorno alla figura di Guido, un archivista dei servizi segreti italiani che, in pensione, si trova a confrontarsi con i fantasmi di un passato mai del tutto sopito. La sua storia si intreccia con quella di Anna, una storica e nipote di una vittima delle Fosse Ardeatine, e con la misteriosa vicenda di un vecchio criminale nazista, Erich Priebke, e del suo ultimo e segreto interrogatorio. Il nucleo della narrazione si concentra sulla ricerca di un “diario segreto” che potrebbe svelare verità scomode e riscrivere pagine di storia.

Stassi tesse una tela complessa in cui il genere poliziesco diventa un pretesto per esplorare temi ben più ampi. La scomparsa del diario, la caccia all’uomo che l’ha custodito, i segreti di famiglia e le dinamiche del potere si fondono in un’indagine che è al contempo esteriore e interiore. L’autore è molto abile nel mantenere alta la tensione, distillando gli indizi con maestria e conducendo il lettore attraverso un labirinto di inganni e rivelazioni.

Il cuore pulsante di Bebelplatz è la riflessione sulla memoria, in particolare quella storica. La Bebelplatz di Berlino, tristemente nota per i roghi dei libri compiuti dai nazisti, diventa una potente metafora del tentativo di cancellazione e manipolazione della verità. Stassi esplora le cicatrici lasciate dal nazismo e dalla guerra, interrogandosi su come il male possa persistere e riemergere anche a distanza di decenni.

In questo libro Stassi ha la capacità di affrontare temi delicati con un approccio sensibile e mai banale. Il romanzo non si limita a ripercorrere fatti storici,

ma scava nelle motivazioni umane, nelle responsabilità individuali e collettive, nel peso del silenzio e nella necessità di fare i conti con la propria storia. La ricerca del diario diventa così una metafora della ricerca della verità, un processo doloroso e spesso incompleto, ma indispensabile per la costruzione di una coscienza collettiva.

[…].

Bebelplatz è un romanzo che va oltre il genere, offrendo al lettore un’esperienza di lettura stratificata e appagante. È un giallo avvincente, ma anche un’indagine profonda sui meccanismi della memoria, sulla natura del male e sulla ricerca incessante della verità, un libro capace di turbare e far riflettere, un’opera necessaria per chiunque voglia confrontarsi con le ombre del passato e comprendere come esse continuino a influenzare il presente. È un invito a non dimenticare, a non tacere e a continuare a cercare la verità, anche quando questa si rivela scomoda o dolorosa.”.

L’incipit del Romanzo:
Il vecchio archivista, al telefono, rispondeva sempre nello stesso modo. Dalla cornetta usciva il suono di un rasoio elettrico, poi la sua voce: ‘Pronto, chi parla?’ La domanda era superflua, perché la voce dall’altra parte era sempre la stessa, quella di Anna, la sua pronipote. Era una storica, una di quelle che si appassionano al passato e cercano la verità nei documenti ingialliti. A volte andava a trovarlo, gli portava qualche libro che aveva letto e discutevano per ore della storia, come se fosse un essere vivente che respirava e cambiavaforma a seconda di chi lo raccontava.

Guido era stato un archivista dei servizi segreti, un uomo che aveva passato la vita a mettere ordine nel disordine altrui, a catalogare segreti e bugie, a dare un senso a carte che nessuno avrebbe mai dovuto leggere. Ora, in pensione, si godeva la sua piccola casa, il suo giardino e la tranquillità che aveva tanto desiderato. Ma il passato, a volte, non si lasciava mettere a riposo così facilmente. E la voce di Anna, al telefono, portava sempre con sé un’eco lontana di qualcosa che doveva essere scoperto, di un’ombra che si allungava dal profondo della memoria.”.

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“Sono tra di noi, / gravi come incubi / hanno invaso ormai / tutta la città / han distrutto già / radio, dischi e la tv / ci hanno detto di / non suonare più / Rocking rolling per resistere / Rocking rolling per difenderci / Rocking rolling per non cedere mai” //.  Così canta Giovanni Scialpi (in arte solo Scialpi), cantautore e attore parmense nel suo pezzo del 1983, intitolato “Rocking Rolling”.

Il Bücherverbrennungen”, il “Rogo dei Libri” è non solo Storia ma pure parte del nostro immaginario. Certo, non si può dimenticare il Romanzo del 1953 di Ray Bradbury intitolato “Fahreneit 451, dove gli oppositori al distopico regime mandano a memoria i libri, per preservarne il valore, mentre gli sgherri dell’autorità con i lanciafiamme distruggevano i Volumi e quello che rappresentavano in giganteschi roghi. E poi c’è la distruzione, col fuoco, della Biblioteca d’Alessandria, le citazioni nella Bibbia, la Santa Inquisizione in Spagna, che dalla fine del Quattrocento mandava al rogo gli eretici e, se del caso, pure le loro scritture.

Certo, oggi, i roghi dei libri non ci sono più. Ma anche oggi, in un certo senso, quel “roghi” continuano ad ardere. Dunque non sembri fuori posto la citazione che avete letto sopra. Infatti, nonostante oggi non si assista più a roghi pubblici di libri, il concetto di “rogo digitale” è stato introdotto nel contesto della censura e della soppressione di informazioni nell’era digitale.

Il termine “rogo digitale”  si riferisce alla soppressione di Opere scritte e di informazioni digitalizzate, spesso con fini epurativi. In sintesi, mentre i roghi fisici di libri non sono più una pratica diffusa, il concetto e le implicazioni di tali atti rimangono rilevanti nel contesto della censura e della protezione della libertà di espressione, sia nel mondo analogico che in quello digitale.

Chiudo con un’osservazione (e una notizia) in controtendenza. Il Quotidiano IL Manifesto, del 12 Luglio scorso, riporta la notizia che i dirigenti del PKK curdo – con in testa Bese Hozat, mitica leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan – hanno deciso di porre fine alla lotta armata contro il Governo turco di Recep Tayyip Erdoğan. 

Per farlo, non hanno consegnato le loro armi, non le hanno sotterrate, bensì le hanno bruciate con il fuoco. Non in segno di rinuncia alla lotta –  hanno spiegato – ma, come ha dichiarato proprio  Bese Hozat: “Vista la crescente pressione fascista, lo sfruttamento in tutto il globo e il bagno di sangue in corso in Medio Oriente, i nostri popoli hanno più che mai bisogno di una vita pacifica, libera, uguale e democratica. In questo contesto comprendiamo a pieno la grandezza, la correttezza e l’urgenza del passo che stiamo prendendo”. Bese Hozat  ha poi continuato a leggere fino in fondo il Comunicato firmato “Gruppo per la Pace e la Società Democratica”. Ed ecco che – alla fine di quella lettura – le armi, depositate in una vasca di metallo, sono state date alle fiamme e sono state distrutte dal fuoco. Quando si dice andare, sempre e comunque, “in direzione ostinata e contraria”.

 

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