Memoria della Resistenza romana: 8 Settembre 1943
«Da parecchi giorni le voci dell’armistizio erano insistenti. Si diceva che in Calabria le nostre truppe non combattevano più, erano state ritirate dalla prima linea ove ormai non c’erano che i tedeschi. Ma continuavano i ciechi bombardamenti dall’alto; la mattina dell’8 settembre centinaia di apparecchi sorvolarono Frascati e i Castelli romani facendo paurosa rovina. […]. Alle 19,45 di quel mercoledì 8 settembre il capo del governo maresciallo Badoglio annunciava alla radio con quella sua voce ruvida, di soldatone piemontese, che c’era l’armistizio fra le forze alleate angloamericane e le forze italiane. La gente fece capannelli nelle strade che già si abbuiavano, i passanti s’interrogavano l’un l’altro. “Cosa ha detto?”. “E’ vero che ha detto che siamo in guerra contro i tedeschi?” Presso Aragno un signore con barba e occhiali spiegava con precisione: “No, ha detto solo che le truppe italiane reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. “O, fa lo stesso” – disse un uomo maturo – “Vado a casa e metto in ordine il fucile”. […]. La mattina del 9 settembre Roma si trovò avvolta dalla battaglia.» (Paolo Monelli, “Roma 1943”, Einaudi,1993)
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«Il giorno dell’armistizio comprerò mille copie di giornale e ne tappezzerò tutta la camera. Voglio leggermi e rileggermi quei titoli uno dopo l’altro, steso nel mio letto, con le gambe accavallate e le mani sotto la testa. Armistizio, armistizio!» (Beppe Fenoglio, Il Partigiano Johnny, 1968)
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“Signor Colonnello, è successa una cosa incredibile, i tedeschi si sono alleati con gli americani!” (Sottotenente Innocenzi Alberto [Alberto Sordi] nel Film “Tutti a Casa”, di Luigi Comencini, 1960)
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Nel Film di Luigi Comencini, “Tutti a Casa” c’è una scena in cui il Tenente Comandante di una postazione costiera italiana si prepara alla libera uscita per incontrare la sua fidanzata e la futura suocera. Si lustra per bene, per non fare brutta figura in quell’incontro per lui importante, ma non avrà la possibilità di andare a quell’appuntamento. Quella possibilità, gliela toglieranno i tedeschi che, prima che potesse lasciare la Caserma, si presenteranno davanti all’Accantonamento militare italiano della Guardia Costiera, in forze e con i carri armati. E quella sarà l’ultima azione di guerra di quel Tenente che morirà dietro la mitragliera con la quale lui e i suoi uomini stanno rispondendo al fuoco tedesco.
La sera prima, a Roma – come racconta Cesare De Simone nel suo “Roma Città Prigioniera” (Mursia, 1994) – sul Ponte della Magliana: “II primo colpo di fucile – una raffica di Smeisser – i tedeschi lo sparano a tradimento, alle 21,30, sul ponte della Magliana, attaccando il posto di controllo tenuto dal I Reggimento Granatieri di Sardegna. «Kamerad! Kamerad! Non sparate! Vogliamo parlamentare!» urla un tenente paracadutista del battaglione «Diavoli verdi» agitando la torcia elettrica. Accanto a lui due soldati in tuta mimetica, uno con un’altra torcia illumina il camerata che agita una bandiera bianca. II terzetto è spuntato sulla strada che porta al posto di blocco della decima compagnia del I Granatieri, all’imbocco del ponte della Magliana.
II capitano Vincenzo Pandolfo, palermitano, esce allo scoperto con alcuni uomini: «Venite avanti!» risponde. I tre tedeschi arrivano a una ventina di metri. «Che diavolo vorranno?» bisbiglia il tenente Gino Niccoli, romano, che è al fianco di Pandolfo. «Beh, vorranno arrendersi. Ormai qui a Roma sono messi male» dice il capitano, che tiene in mano la Beretta d’ordinanza. Improvvisamente l’ufficiale tedesco e i due parà si gettano a terra e nello stesso istante salgono in aria due bengala che illuminano a giorno la postazione italiana mentre dai cespugli e dai rialzi attorno si sgranano raffiche di fucile mitragliatore. Appostati nell’ombra, i tedeschi fanno il tiro al bersaglio sui granatieri. Cadono falciati Pandolfo, Niccoli e i sei uomini che sono con loro, il posto di blocco viene investito da colpi di mortaio. Lo scontro è durissimo, ma nonostante l’agguato i granatieri resisteranno fino al mattino, quando, costretti ad abbandonare il ponte, raggiungeranno attraverso i campi le postazioni della Cecchignola e della Montagnola. Sul terreno lasciano 38 morti, i tedeschi 22.
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E’ così che è cominciata la battaglia di Porta San Paolo. E’ così che, a Roma, è cominciata la Resistenza armata antinazifascista. I militari di stanza in città cercheranno di bloccare i tedeschi che la città se la vogliono prendere. A dare loro man forte arriveranno i romani da tutti i Quartieri della città, uomini e donne armati alla bell’è meglio, ma decisi a resistere. Sarà la prima volta che militari e civili combatteranno insieme e non solo a Porta San Paolo, ma anche nel resto di Roma. E mentre il re savoiardo è in fuga con la sua corte dei miracoli di politici e militari vigliacchi, la Roma antifascista combatte e non si arrende. E alla fine di tre giorni di combattimenti (8-10 Settembre ’43), il bilancio della battaglia sarà pesante: 597 i morti, di cui 156 civili, tra questi 28 donne (ma alcune fonti danno un totale di 400 civili uccisi negli scontri) e 414 militari.
Quel giorno, i Giornali della città si vedono recapitare, con l’ordine perentorio di pubblicarla, una “velina” – la pima di una lunga serie, frutto della collaborazione tra tedeschi e fascisti – che recita: «Elementi incoscienti e criminali si sono opposti alle truppe germaniche.». «L’ordine è stato ristabilito.». «Chi sarà trovato in possesso di armi sarà, in base alla legge marziale tedesca, fucilato.».
Una testimonianza
Dirà ad Alessandro Portelli, per il suo “L’ordine è già stato eseguito” (Donzelli,1999) Siegmund Fago Golfarelli, allora Capitano di Complemento dei Granatieri di Sardegna, che combatté aspramente a Porta San Giovanni: «Eravamo poco più di cento uomini, armati di fucili, con tre caricatori a testa, avevamo due fucili mitragliatori, di cui uno s’inceppò, un po’ di bombe a mano…». «Era un atto di presenza, di buona volontà.». «Per dimostrare che c’erano ancora uomini che volevano difendere la città.». «Sapevamo che era inutile, ma era una dimostrazione d’onore, di dignità.». «Si muore in piedi.». «Non si muore leccando i piedi a nessuno.».
Molte storie riguardanti i combattenti di Porta San Paolo sono state, negli anni, raccontate. Alcuni di loro diventeranno noti nel prosieguo della lotta di Resistenza come Ettore Troilo, fondatore della Brigata Maiella, l’unica Formazione Partigiana decorata di Medaglia D’Oro al Valor Militare, ed Enrico Martini (Mauri), Maggiore degli Alpini, fondatore e Comandante del 1° Gruppo Divisioni Alpine dei Partigiani Autonomi, decorato di Medaglia D’Oro al Valore Militare; così come il Generale dell‘Aeronautica Sabato Martelli Castaldi, Il Partigiano “Tevere”, e il Colonnello Roberto Lordi, anche lui dell’Aeronautica, entrambi assassinati alle Cave Ardeatine, nel Marzo del ’44, ed entrambi decorati della Medaglia D’oro al Valor Militare alla Memoria.
Tra i molti civili che combatterono a Porta San Paolo c’erano anche i Vigili del Fuoco di Roma. Uno di loro, Alberto De Jacobis sarà ucciso da un paracadutista tedesco all’ingresso della Caserma dei Pompieri di Via Marmorata, che è stata, in seguito, a lui intitolata e morirà tra le braccia del suo collega e Capo Reparto, Renato Efrati. All’interno della Caserma dei Vigili del Fuoco dell’Ostiense una Targa lo ricorda:
Comando Provinciale V.V.F. Roma
Vice Brigadiere
Alberto De Jacobis
deceduto in servizio il 10-09-1943
Alla memoria
Distaccamento Alberto De Jacobis 27-11-1994

All’Ostiense, una Caserma dei Vigili del Fuoco e un Luogo della Memoria
La Caserma dei Vigili del Fuoco, di Via Marmorata 15, fu costruita su progetto dell’Architetto Vincenzo Fasolo ed inaugurata il 28 Ottobre 1929. Intitolata ad Alberto De Jacobis, la Caserma ospita anche il Museo Storico dei Vigili del Fuoco di Roma, “Roma Città del Fuoco”, inaugurato il 18 Aprile 2002, che ripercorre l’evoluzione del soccorso a Roma, dall’antichità ai giorni nostri, mediante ricostruzioni scenografiche dei grandi incendi della storia di Roma: da quello di Nerone del 64 d.C. a quello che per poco non distrusse la Basilica di San Pietro nell’847, al bombardamento di Roma del 19 Luglio 1943 (qui:https://www.youtube.com/watch?v=fRKOmQWRWnw).
Oltre a questi avvenimenti storici, una parte del Museo è dedicata all’organizzazione del Servizio antincendio odierno, con le varie specializzazioni del Corpo, dai sommozzatori agli elicotteristi, al servizio speleo-alpino-fluviale. Inoltre, in una sala multimediale si può accedere a servizi interattivi e multimediali dedicati alla prevenzione di incendi in campo domestico, si possono ammirare gli indumenti e le attrezzature storiche dei Vigili, come le antiche autopompe o le uniformi storiche, ma anche le attrezzature moderne, come quelle per gli interventi contro i pericoli radioattivi o batteriologici. Un piccolo laboratorio permette, inoltre, al visitatore di sperimentare diversi fenomeni di combustione.
Antonio Nardi apparteneva al Movimento Comunista d’Italia, più noto come “Bandiera Rossa” dal nome del suo Giornale, diretto dall’Avvocato casertano Raffaele De Luca (1874-1949). Così scrive di questo Vigile del Fuoco Partigiano, Mariangela Di Marco in un pezzo, pubblicato il 27 Novembre 2019 sul Mensile dell’ANPI Nazionale, “Patria Indipendente” :
“Antonio Nardi svolgeva servizio volontario come autista presso il Comando di via Genova. È una delle poche informazioni pervenute sino a noi: un allagamento dell’archivio all’interno dello stesso Comando ha reso gran parte della documentazione inaccessibile. I dati su Nardi restano quindi frammentari e relativi alla sua corrispondenza con i familiari e a poche altre testimonianze informali. «Essendo Nardi un ottimo meccanico, Venerio lo portava sempre con sé quando, per lavoro come responsabile dello spaccio e della mensa di via Genova, doveva uscire con il mezzo del corpo per rifornirsi di scorte e di generi alimentari» scriveva Armando Ianelli, vigile del fuoco, in una lettera destinata al figlio del brigadiere Venerio Ranieri, compagno di lavoro e di scelta politica di Nardi, a cui il Pci, dopo la Liberazione di Roma, intitolerà un nucleo di combattenti.
Nardi verrà arrestato per una delazione il 10 dicembre 1943 e recluso nelle prigioni di Regina Coeli. «Carcere preventivo» è scritto sulla scheda di custodia firmata da un sergente delle SS. Da qui, verrà condotto il 7 marzo 1944 al Forte Bravetta per essere fucilato, condannato senza processo. Con lui, altre dieci persone, tra cui Giorgio Labò, l’artificiere della Resistenza romana. Furono i capri espiatori che i tedeschi scelsero come ritorsione ad un’azione compiuta da altri partigiani il 5 marzo al Quarticciolo, periferia est di Roma. Nel 1946 la Presidenza del Consiglio dei ministri dichiarerà Nardi partigiano combattente Caduto. Queste sono le uniche informazioni che conosciamo del vigile del fuoco partigiano.”.
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Nella Caserma dei Vigili del Fuoco dell’Ostiense era stanziato e forte un Nucleo Partigiano di Giustizia e Libertà, mentre la “Banda Vigili del Fuoco” di Bandiera Rossa era presente prevalentemente nella Sede Centrale del Comando di Vigili del Fuoco di Roma, sita in Via Genova, sede che era stata occupata dalle truppe tedesche, senza che queste avessero mai scoperto l’attività che si svolgeva sotto i loro occhi.
A causa del materiale di propaganda e delle armi nascoste, prudenza avrebbe voluto che nessun atto ostile si fosse svolto nei confronti dei militari germanici, con i quali si doveva anzi mantenere un cordiale rapporto cameratesco. Eppure, spontaneamente ad opera dei Vigili Partigiani, costantemente ogni mattina qualche automezzo tedesco era in avaria per guasti poco significativi che, amplificati dalla grave carenza di parti di ricambio, costituirono però un danno significativo per gli occupanti. I Vigili del Fuoco, anche quelli non inquadrati nelle Formazioni Partigiane, riuscirono ad eseguire numerose azioni di disturbo; in particolare veniva ritardato o vanificato lo spegnimento degli incendi che si verificavano a danno di obiettivi militari e di trasporti, anche ferroviari, colpiti dall’aviazione alleata o dalle azioni partigiane.
Tra i Vigili del Fuoco Partigiani, vittime della repressione nazifascista ricordiamo anche Aldo Angelai, militante nelle fila del PSIUP e Partigiano Matteottino che, pur essendo un militare 8era un Bersagliere), viene indicato da una testimonianza dell’epoca inquadrato nel Corpo dei Vigili del Fuoco come volontario. Angelai sarà arrestato il 21 Febbraio del 1944, dal Commissario Armando Stampacchia, insieme ad altri tre militanti Partigiani.
Morte di un fascista assassino
Il Commissario Stampacchia – fascista di provata fede e inaudita ferocia – che si vantava di non avere paura dei partigiani e girava senza scorta per Centocelle – sarà ucciso in casa sua, a Piazza Ragusa, dal partigiano gappista Clemente Scifoni (1925-1921), il 4 Marzo del 1944. Il 14 Marzo ‘44 tutto alcuni componenti del Gap comandato da Valerio Fiorentini incappò, lui compreso, in una retata delle SS su un tram in Piazza Fiume, e furono catturati Alcuni giorni dopo furono tutti fucilati alle Cave Ardeatine.
I fascisti metteranno sulla testa di Scifoni una taglia di 200mila Lire, ma non lo prenderanno. Dopo la guerra, Scifoni sarà arrestato e accusato di omicidio. Dopo due anni di carcere sarà liberato e assolto dall’accusa per avere partecipato ad un’azioni militare.
Condotto nel Carcere tedesco di Via Tasso, Angelai sarà trucidato alle Cave Ardeatine, il 24 Marzo del 1944. I suoi resti riposano nel Sacello n.50, collocato con gli altri 335 nell’apposita Sala del mausoleo Militare delle Ardeatine. (*)
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(*) Il primo dei 336 Sacelli collocati nell’apposito spazio del Mausoleo Militare delle Ardeatine è senza nome perché dedicato a tutte le altre vittime delle stragi nazifasciste che hanno avuto luogo nei 20 mesi di occupazione del nostro Paese.
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