Medas: “Non abbiate paura, non chiedete il permesso per esprimervi” | L’Intervista, Prima pagina
Gianluca Medas, scrittore, regista e attore sardo, nativo di Cagliari e Guasila, si è concesso ai microfoni di Cagliaripad per raccontare quella che è stata la sua vita nel mondo del teatro e del cinema. Medas ha voluto anche dare diversi consigli ai giovani che oggi si affacciano al mondo teatrale ma del mondo del lavoro in generale.
Lei e suo padre siete stati fondatori della compagnia “Figli d’arte Medas” e rappresentate la più antica famiglia d’arte sarda. Da cosa nasce questa passione?
“E’ una passione indotta, da bambini facevo spettacoli con i miei fratelli e i miei cugini e questo ci permetteva di avere coincidenza con il teatro; andavamo a San Mauro e imitavamo i miei zii che facevano teatro. Facevamo anche un giornalino, canzoni, e scrivevamo testi, avevamo il desiderio di creare attraverso l’arte”.
Ogni anno, in occasione di Sant’Efisio, andava in scena la sua narrazione “Su Contu de Sant’Efis”. Come mai non rappresenta più l’opera in occasione della festa e da cosa ha avuto origine la stessa?
“E’ andata in scena per 25 poi non più, a un certo punto ci è stato detto che Sant’Efisio era diventata una manifestazione molto importante e la ripetizione ogni anno della stessa storia annoiava il pubblico; di conseguenza ho smesso di metterla in scena. E’ nato per l’amore della mia città, l’ho fatto perché sentivo l’esigenza di spiegare ai cagliaritani che non la conoscevano la vita di Sant’Efisio. Per 25 anni ogni anno raccontavo la storia con un musicista diverso, era bellissimo perché la piazza del municipio si riempiva, le persone si commuovevano, fin quando i fedeli non sono diventati pubblico c’era un coinvolgimento molto forte. Ora Sant’Efisio è diventato uno spettacolo bellissimo, ma è un’esposizione di costumi, la vera festa si conosce solo nei giorni in cui ci sono i fedeli e non il pubblico”.
Tra le sue scritture teatrali troviamo anche “Su Contu de Emilio Lussu”, quanto è stato difficile mettere in pratica e raccontare una figura storica così importante come Lussu?
“Lusso era un uomo dalle mille sfaccettature. Di Lussu si parla sempre attraverso slogan, e questo a me non interessava, ero concentrato a far capire chi fosse, leggendo e studiando tantissimo su di lui. Ritenevo che fosse importante conoscerlo perché rappresenta qualcosa di inarrivabile, ovvero l’etica, la coerenza e la forza che sono virtù straordinarie caratterizzanti della sua azione da quando era in guerra e da quando formò il Partito Sardo d’Azione. In tanti momenti ha manifestato queste virtù finché non è entrata di mezzo la politica che non conosce l’etica, la politica è la capacità di mediare su diverse etiche. Lussu è controverso e ci conoscono solo le cose raccontate dagli slogan, si rimpiangono sempre uomini che non ci sono più e che non vanno rimpianti perché sono le loro azioni che dobbiamo imitare che non invecchiano mai. Il mio lavoro su Lussu è terminato con il film e il messaggio che volevo trasmettere era quello di smettere con i rimpianti ma imparare da quello che hanno fatto, così come da Berlinguer. Non dobbiamo nasconderci dietro le mancanze, a me interessava far capire che bisogna imitare ciò che ha fatto perché i valori umani non invecchiano mai”.
Oltre al teatro, lei è stato anche un attore cinamatografico. Com’è stato passare dal palco al grande schermo?
“Sono due mondi totalmente diversi per organizzazione, mentalità, obiettivi e risultati. Il cinema ha bisogno di una parcellizzazione delle personalità, ognuno deve fare il suo, il teatro invece è un collettivo, gli attori si muovono come se fossero “il pane che si fa mordere dal pubblico”. Nel teatro il rapporto con il pubblico è dal vivo mentre nel cinema vedrai sempre la stessa opera per sempre. C’è diversità anche nell’interpretazione dei personaggi, il teatro è ridondante mentre il cinema è sottrazione, devi tirar fuori qualcosa che faccia immedesimare il pubblico nel personaggio, invece nelle scene teatrali devi arrivare lontano con la voce. Il teatro è vecchio, mentre il cinema è un’arte proiettata verso il futuro nello storytelling”.
Quanto è stato difficile, ma allo stesso tempo bello, portare avanti negli anni la passione teatrale in Sardegna? Ci racconti quali sono state e quali sono attualmente le difficoltà
“Bisogna sempre lavorare pensando che non c’è un progetto sulla cultura in Sardegna, non esiste e non è mai stato pensato. Esistono strutture che fanno domande di contributo e fanno consultivi per avere dei fondi, che spessano arrivano tardi. La mancanza di un progetto determina la qualità dei lavori fatti, ma ci sono anche discriminazioni di carattere economico nella distribuzione dei contenuti: si tiene conto delle ore di lavoro svolte e non della qualità del progetto. Ciò denota la mancanza di un progetto, invece i criteri utilizzati sono l’anzianità, la conservazione e la protezione, infine la parte artistica ma l’importante è fare almeno 30 spettacoli. La Sardegna è una regione a statuto autonomo, che cos’è che ci rende autonomi? La cultura. E’ impossibile che non esista un progetto che parta da questo, se togliamo tutto ciò che di culturale ci circonda rimane solo la natura”.
Un’altra sua grande passione riguarda il cibo e la cucina tipica isolana. Come si è avvicinato a questo tema e qual’è il messaggio che vuole trasmettere ai sardi e non sardi?
“Con la cucina non parlo di ricette ma di persone. Il cibo senza la persona non esiste, è la trasformazione della natura in un alimento che ci da energia per vivere. Non abbiamo ciò che ci serve per vivere autonomamente, interessa raccontare il background che porta al rapporto tra le comunità e il cibo”.
Quali sono i maggiori insegnamenti che ha appreso dalla sua carriera lavorativa e che vorrebbe trasmettere alle generazioni future?
“Il messaggio ai giovani è quello di non chiedere il permesso per realizzare qualcosa ma di realizzarlo. Non si chiede il permesso per esprimere se stessi, l’alibi che i giovani non vengano ascoltati da nessuno deve finire. Si deve pensare che un giovane debba raccontare e poi c’è la libertà di essere ascoltati o meno, essere giovani non è un diritto è uno stato che passa mentre non passa la cultura che passa. I giovani non devono avere paura di esprimersi perché se ciò che dicono è importante resterà indelebile a prescindere dall’età”.
Iscriviti e seguici sul canale WhatsApp
Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it
Source link